«Parto per la Russia, insegnerò italiano a San Pietroburgo»: quando un anno e mezzo fa ho dato questo annuncio i miei amici si sono divisi tra gli entusiasti e gli scettici. L’idea di partire e lasciare per un po’ l’Europa sembrava un’idea di per sé intelligente, ma si trattava comunque di affrontare un nuovo paese e una nuova cultura. E spesso molte persone non capiscono esattamente cosa faccio: insegnare italiano ai russi? E perché mai? Cosa ci faranno i russi con la nostra lingua, che “non serve a niente”?
Sono partita per San Pietroburgo con le idee poco chiare. Sapevo soltanto che la città ha forti legami culturali con il nostro paese perché deve la sua bellezza a molti architetti italiani, e inoltre le mie precedenti esperienze con studenti russi erano state molto positive, quindi mi sembrava un buon momento per affacciarmi alla nazione più grande del mondo e accettare una sfida importante: tornare studentessa e, dopo tanti anni di insegnamento, ricordare cosa significhi imparare una lingua.
La mia esperienza si basa sulla realtà delle scuole private. In Russia non esistono corsi a “prezzo politico” come quelli delle scuole popolari in Germania, Austria e Scandinavia: qui vige il più assoluto libero mercato, difficilmente si può usufruire di servizi base come nelle nazioni con un forte stato sociale. Per questo motivo, quando i russi hanno iniziato a uscire fuori dalla loro autarchia linguistica è nato un fiorente mercato di scuole private.
Per quanto riguarda l’insegnamento universitario anche in Russia il reclutamento avviene per altri canali, valgono altri requisiti e l’esperienza di molti insegnanti di italiano per stranieri risulta non idonea.
Nell’affrontare il pubblico russo ciò che mi preoccupava era la differenza tra le due lingue, e invece mi sono ricreduta. Sono molte di più le affinità che le divergenze, come l’affinità fonetica; ad esempio anche il russo è ricco di affricate – suoni che di solito mettono in imbarazzo parlanti di lingue affini alla nostra. A livello morfosintattico, può essere difficile entrare nella nostra logica analitica, soprattutto perché spesso lo studente adulto non ha studiato un’altra lingua europea, al massimo ha un’infarinatura di inglese o tedesco. Io e i miei colleghi siamo abituati a non dare per scontata neanche la corretta conoscenza dell’alfabeto latino. A ben vedere, però, le classiche difficoltà dei russofoni – come l’omissione degli articoli e del verbo essere al presente – non incidono sul piano della comunicazione. Confrontandomi con i colleghi abbiamo condiviso l’impressione che i nostri studenti raggiungano ottimi risultati in tempi abbastanza brevi, e che uno studio costante porti a un livello eccellente anche in un contesto LS.
La nota dolente con cui ci si deve scontrare in Russia, però, è quella metodologica. La visione del rapporto con l’insegnante è molto tradizionale e la relazione è verticale. La formalità e la distanza sono note caratterizzanti dell’impostazione a cui i miei studenti sono abituati. In particolare, nella didattica delle lingue quasi non c’è alternativa al metodo grammaticale-traduttivo.
Probabilmente non è un malinteso che appartiene solo ai russi, ma il più grande ostacolo con cui mi scontro è la ricezione del metodo comunicativo. Con questa definizione, infatti, in Russia intendono dire che “comunicano con un madrelingua” anche se studiano solo grammatica. Qualsiasi tecnica induttiva provoca diffidenza e frustrazione. D’altra parte, la sfida è molto stimolante per noi insegnanti, e attualmente siamo molti soddisfatti delle strategie messe in atto per mettere a loro agio gli studenti. Partendo dall’alfabeto illustrato – anche per concetti astratti – e dai giochini per scoprire le frasi S.O.S (“Cosa significa?” “Come si dice?”) rendiamo da subito lo studente autonomo e in grado di comunicare nell’immediato con l’insegnante senza ricorrere alla lingua madre. L’uso dei realia, della mimica, delle illustrazioni, è la base dei primi giorni di lavoro con i principianti, che dopo due lezioni non hanno in genere problemi di decodifica dell’input.
La motivazione allo studio è indubbiamente molto alta: tutti i russi sono innamorati di ciò che l’Italia rappresenta. L’immagine dell’italiano – in Russia forse più che altrove – è quella di una persona solare, creativa, che mangia bene e soprattutto canta sempre: in una parola, l’italiano con “la chitarra in mano e gli spaghetti al dente” di Toto Cutugno. I vari Albano e Ricchi e Poveri sono stati autentici promotori della lingua e della cultura italiana in questo paese, grazie all’incredibile successo che riscuoteva il Festival di San Remo negli anni Settanta e Ottanta. Immaginate cosa significasse durante il periodo sovietico vedere quel palcoscenico pieno di fiori e Romina vestita di bianco che cantava Felicità. Qui la cantano ancora adesso, questa canzone che per noi è un po’ trash, che ci imbarazza, e gli studenti si stupiscono che non mi piaccia. Per loro Felicità è il simbolo di quello che volevano diventare, un paese pieno di fiori con belle donne che hanno motivo di cantare al mondo che sono felici.
Dunque, l’italiano è ancora la lingua veicolare di tutto ciò che la Russia vorrebbe essere, e adesso che mi sento – quasi – a casa posso affermare con serenità che le nostre culture, nel bene e nel male, non sono affatto lontane e che un italiano può vivere molto bene qui. A mio avviso russi e italiani condividono lo stesso attaccamento ai valori tradizionali della famiglia e sono popoli rumorosi e allegri, un po’ disorganizzati ma con una grande cultura della solidarietà, che ho sperimentato di persona.
Purtroppo la Russia in questo momento si trova a fronteggiare ancora tensioni a livello internazionale, e noi insegnanti di italiano siamo preoccupati che venga meno una motivazione importante, quella turistica, vista l’eccessiva svalutazione del rublo. O forse fare un corso di italiano, a maggior ragione, sarà l’occasione per continuare a sognare il mare, il sole, e gli italiani con la chitarra in mano.
Antonella Spadafora
Avrai sicuramente visto il film di Veronesi, Italians, in cui Verdone va in Russia. Pieno di clichés da sfruttare in classe
Ciao Paolo,
io l’ho visto e come dici tu mi è sembrato molto utile da usare in classe per rompere certi stereotipi!
Innanzitutto grazie del commento, Paola! 🙂
Devo confessare che, pur conoscendo quell’episodio che citi, non l’ho mai portato in classe. Avete idee o attività già rodate su questo film? Un saluto!