Didattica del progetto: motivare, gestire l’eterogeneità di Michel Morel

Il punto di partenza della riflessione di Michel Morel, che per anni ha insegnato italiano nelle scuole francesi, è la distinzione tra il concetto di pedagogia, intesa come azione – la pedagogia “fa” – e quello di didattica, ovvero la riflessione a priori sulla trasmissione e l’acquisizione di conoscenze.

Michel Morel

Michel Morel

Secondo Morel, la grande eterogeneità che l’insegnante trova davanti a sé in aule sempre più affollate e la scarsa motivazione degli studenti sono i primi problemi, nonché i più grandi, che la scuola ha il compito di risolvere se vuole effettivamente mantenere un ruolo attivo nella società contemporanea. Tali problemi, infatti, portano ad una perdita di senso dell’educazione a scuola, soprattutto in Paesi nei quali è facile avere accesso alle informazioni. Se nei Paesi in crescita l’istruzione è percepita come strumento di emancipazione e di miglioramento delle condizioni di vita degli studenti, che ne sono pienamente consapevoli, nei Paesi sviluppati questo non avviene più.

La motivazione: Cenerentola nella scuola?

Quando gli alunni sono privi della motivazione all’apprendimento, anche l’insegnante può incontrare delle difficoltà a trovare la giusta spinta per coinvolgerli in esperienze significative, attivando così un circolo vizioso. Per questo motivo, spesso la scuola non riesce a colmare il divario esistente tra gli studenti, così che gli alunni più svantaggiati non riescono a superare la loro condizione e finiscono col perdersi.

In Italia, secondo il Censis, più del 50% dei giovani attribuisce un senso alla scuola, ma non crede sia un investimento utile, mentre in Germania il 90% la considera utile. Morel spiega questa differenza con la grande diffusione nella scuola tedesca della formazione professionale, che permette agli alunni di scegliere un percorso educativo basato sul “fare”.

 Fare, fare di più, far fare di più

Apprendere è fare e se gli studenti si annoiano è perché fanno poco. L’unico rimedio alla noia, secondo Morel, è l’azione, per cui gli studenti dovrebbero fare di più, assumendosi la responsabilità dell’apprendimento e posizionandosi in quel ruolo centrale nel processo di insegnamento/apprendimento del quale si parla già da diversi decenni.

Ma come far fare di più? Innanzitutto assegnando agli apprendenti un compito fattibile, chiarendone gli obiettivi, le indicazioni e magari anche negoziando con gli alunni, costruendo insieme il senso della formazione secondo i reali bisogni di chi impara.

“Non separare la scuola dalla vita reale”

Célestin Freinet, ideatore del metodo naturale, prende le mosse proprio da questo assioma, formulando poi tre principi pedagogici:

  1. IMG_0133La motivazione, perché è necessario che le attività proposte siano significanti per lo studente, che dovrebbe sperimentare e procedere per tentativi;
  1. La socializzazione tramite la cooperazione, poiché la classe dovrebbe essere un luogo di democrazia, in cui ognuno ha la propria responsabilità all’interno del gruppo; l’insegnante sarebbe quindi solo un facilitatore della classe, che dovrebbe autogestirsi come cooperativa di sperimentazione e ricerca;
  1. L’importanza del fattore emotivo incorporato nella motivazione dell’attività comune necessario per un apprendimento davvero significativo.

Ne risulta una pedagogia del progetto che permette di generare apprendimento attraverso la realizzazione di una produzione concreta – che si può identificare – e collettiva, frutto di un vero approccio orientato all’azione.

A tale approccio fa riferimento anche il QCER, laddove sottolinea l’importanza della dimensione sociale nell’apprendimento e soprattutto la necessità di avere come obiettivi dei compiti, per produrre risultati concreti che vanno dall’ordinare al bar alla negoziazione di un contratto. Anche il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca dà una definizione di pedagogia del progetto, inteso come compito condiviso che sia rilevante tanto dentro quanto fuori dalla scuola.

Il progetto comunicativo

Nella presentazione di Morel, il progetto comunicativo è inteso come un’azione complessa che gli apprendenti stessi, in una dimensione sempre collettiva, dovrebbero, almeno in parte:

  1. concepire
  2. pianificare
  3. realizzare
  4. valutare

Prendendo in considerazione un’attività di Bravissimo 1, ci siamo soffermati sull’importanza della simulazione di progetto realistico, che può anche diventare reale, come nel caso di un pranzo di fine anno. Attraverso l’analisi di altri manuali, invece, abbiamo riflettuto sulla necessità di adeguare le attività al livello reale degli apprendenti, evitando di chiedere loro dei compiti che non sono in grado di fare, poiché non ancora in possesso degli strumenti e delle strategie necessarie.

Nell’approccio orientato all’azione, in sintesi, ogni informazione appresa trova la propria ragion d’essere nella realizzazione di un compito finale, che è concreto, misurabile e assolutamente calato nel reale.

Bibliografia:

CONSIGLIO D’EUROPA, (2001), Common European framework of reference for languages (CEFR). Learning, teaching, assessment, Cambridge, Cambridge University Press.

Ellis, R. (2003). Task-Based Language Learning and Teaching, Cambridge, Cambridge University Press.

Freinet C., (1977-78), La scuola del fare. Principi (vol. I), e La scuola del fare. Metodi e tecniche (vol. II), Milano, Emme Ed..

Littlewood, W. (2004). The task-based approach: some questions and suggestions. ELT Journal, 58/4, 319-326

Nunan, D. (2004). Task-based Language Teaching Cambridge, Cambridge University Press.

Skehan, P. (1996). Second language acquisition research and task based instruction In J. Willis e D. Willis (eds.) Challenge and Change in Language Teaching. Oxford, Heinemann.

Skehan, P. (2003). Task-based Instruction. Language Teaching, 36, 1-14

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