Dai proverbi allo sport: come trasmettere il lessico

Il proverbio: un evento comunicativo fra cultura e ironia di Laura Trevini Bellini

Quante volte ci siamo domandati se, quando e come introdurre i proverbi durante le nostre lezioni di lingua, se per ciascuno ne esisterà uno equivalente nella L1 dei nostri studenti o se ne capiranno il senso globale.

Spinta da queste domande, Laura Trevini Bellini, che insegna all’IIC di Parigi, ha condotto una ricerca di natura etnolinguistica e interculturale sul proverbio come evento comunicativo e, in particolare, sull’aspetto dell’ironia come elemento culturale.

Il proverbio, infatti, si porta dietro la cultura, sotto forma di elementi deittici, metafore, impliciti che possono variare da regione a regione. L’ironia è uno di questi elementi culturalmente marcati: se uno straniero è capace di riutilizzare un proverbio, dimostra di averlo compreso, di averne colto l’ironia ed è quindi pronto per condividerlo, creando un evento comunicativo che lo farà sentir parte di una comunità linguistica.

Dalla ricerca condotta da Laura viene fuori che i proverbi sono usati in contesti piuttosto informali da persone che hanno una relazione abbastanza stretta e che hanno delle conoscenze pregresse comuni. A volte, infatti, non si finisce nemmeno la seconda parte della frase: la struttura fissa tema-rema, che innesca l’ironia, e la condivisione delle metafore contenute non rendono sempre necessario il completamento del proverbio.

Proprio questi elementi fanno sì che oggi i proverbi si continuino a modificare e ad inventare: le canzoni, le pubblicità e i film rappresentano attualmente quel bagaglio comune da cui possono derivare nuove combinazioni, nuovi detti, nuove espressioni comprensibili ai più e largamente condivisibili.

Ma cosa sono e come nascono i proverbi?

Altro non sono che brevi norme di comportamento che derivano da esperienze di vita quotidiana e che in passato servivano per trasmettere oralmente le credenze e le tradizioni popolari in essi racchiuse. Frutto di una cultura antica, i proverbi nella maggior parte dei casi rispecchiano una società di altri tempi, ragion per cui, ad esempio, molti contengono metafore legate al mondo campestre e animale o tratti maschilisti.

Dunque, perché introdurre i proverbi nella classe di lingua?

Secondo Laura, siccome richiedono una rielaborazione cognitiva delle informazioni, i proverbi sono una parte della lingua che stimola la funzione poetico-immaginativa attraverso le metafore che contengono e potenziano il saper fare con la lingua.

Rappresentano, inoltre, un linguaggio bimodale, in quanto attivano la ricezione di entrambi gli emisferi del cervello: il destro per la parte globale, che presiede la comprensione delle connotazioni, delle metafore, dell’ironia, e quello sinistro, più analitico, sequenziale e logico (causa-effetto, prima-dopo) che presiede alla comprensione denotativa.

Un terzo aspetto per cui è utile introdurre i proverbi in classe è quello interculturale: permettono, infatti, di narrare, comparare e decostruire pregiudizi e stereotipi attraverso la conoscenza e con un metodo ludico coinvolgono direttamente gli studenti in un gioco di assimilazione e decentramento.

Come introdurli, quindi, in una lezione di lingua?

Laura ci ha presentato alcune attività da lei create e poi sperimentate in classi di studenti adulti di livello B2/C1 in contesto L2 e LS.

Dopo aver stimolato gli studenti con un brainstorming sul termine “proverbio” e aver scritto alla lavagna tutte le proposte ricavate in uno spidergram, Laura ha introdotto il tema con un video di Mukko Pallino sul tema dei detti e ha invitato gli studenti a completare una griglia con i proverbi ascoltati, il loro significato e gli equivalenti nella loro L1.

Un altro esempio riguarda le metafore legate al mondo animale attraverso un gioco interattivo in cui gli studenti, attraverso le tipiche caratteristiche attribuite agli animali, devono indovinare di quale animale si tratti e dopo completare un esercizio di fissazione dei nomi degli animali.

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L’ultima attività inizia con un video tratto dal programma televisivo “L’eredità” in cui il partecipante al gioco deve completare la seconda parte di alcuni dei più classici proverbi italiani. La sua performance fa ridere gli spettatori -e anche noi partecipanti al workshop- per l’inadeguatezza di una delle risposte (A caval donato, *tanti auguri): la struttura dei proverbi, infatti, è fissa ed è per questa ragione che l’errore stona, suscitando ilarità.

Al termine del workshop, Laura ha distribuito ai partecipanti un tipico cioccolatino italiano, famoso perché contiene al suo interno un proverbio. Insomma, dulcis in fundo.

Bibliografia

Boggione, V., (2007) Logos, dialogo, letteratura, XLI, in Dizionario dei proverbi. Torino: UTET.

Cardona, G. R., (1985) La foresta di piume. Bari: BUL.

Cardona, G. R., (2006) I sei lati del mondo. Linguaggio ed esperienza. Bari: Editori Laterza.

Cardona G. R., (1976) Introduzione all’etnolinguistica. Milano: Il Mulino.

Eco U., (1984) Semiotica e filosofia del linguaggio. Torino: Einaudi.

Franceschi T., (2007) La formula proverbiale. in V. Boggione, L. Massobrio, Dizionario dei proverbi, Torino: UTET.

Grimaldi M., (1997) “L’ironia nei detti proverbiali fra citazione e metafora”. Articolo sulla rivista “Lares”, (Ottobre – Dicembre) LXII, 521-543.

Lakoff e Johnson, (1980) Metaphors We Live By. Chicago: The University of Chicago Press.

Medici M., (1988) La parola pubblicitaria, Due secoli di storia fra slogan, ritmi e wellerismi. Venezia: Marsilio.

Norrick N. R., (1985) “How Proverbs Mean. Semantic studies in English Proverbs”. Berlin: Mouton, .

Sitografia

I proverbi nella pubblicità e nei giornali [Internet] (2 pagine) http://proverbiescrittori.blogspot.it/2007/11/il-rapporto-tra-proverbi-e- pubblicit.html

Bollettino ITALS giugno 2015 [Internet] (25 pagine) http://www.itals.it/il-proverbio-un-evento-comunicativo-fra-cultura-e-ironia-la-sperimentazione-di-una-lezione-classi-di

Il linguaggio settoriale dello sport e la creazione di un sillabo specialistico di Carmela D’Angelo

In questo workshop Carmela D’Angelo, dottoranda presso l’Università di Groningen, ci ha illustrato alcuni dei risultati della ricerca che sta conducendo in cotutela con l’Università per Stranieri di Siena, incentrata sul linguaggio settoriale dello sport e sulla creazione di un sillabo specialistico.

La prima domanda che mi sono fatta all’inizio del suo seminario è stata: perché proprio lo sport? Oltre a una passione ereditata in famiglia, lo spunto da cui è nata la ricerca di Carmela è l’interesse per la relazione tra sport e lingua straniera, per stabilire sia come imparare una lingua straniera per praticare sport, sia come praticare sport attraverso lo studio della lingua.

Secondo Carmela, infatti, lo sport è cultura: se da un lato può costituire un aspetto fondante della vita di un paese, dall’altro si presta a un confronto interculturale per l’internazionalità di alcuni temi.

Per condurre la sua ricerca, Carmela ha analizzato circa 300 manuali di lingua per cercare unità dedicate allo sport e studiarne il lessico specialistico, le funzioni comunicative e le funzioni grammaticali (es. imperativo per dare ordini, comparativi e superlativi per paragonare risultati, condizionale per consigli, ecc.), con l’obiettivo di creare un sillabo incentrato sullo sport, così come individuato dal QCER (2002: 55-66).

Ma perché un sillabo di lingua sullo sport?

Carmela afferma che conoscere la lingua dello sport è utile per l’integrazione sociale dei migranti, che possono utilizzarlo come tema di conversazione e costituisce per loro un elemento di costruzione di un’identità; è indispensabile, inoltre, per i lavoratori del settore (sportivi, allenatori, manager, medici, terapeuti, ecc.), che lo utilizzano come strumento professionale. Non vanno poi tralasciati gli aspetti formativo-culturali, e non ultimo ludici, che interessano tutti i livelli sociali e di età, in particolar modo la scuola dell’obbligo.

Come insegnare questo lessico specialistico?

Secondo Carmela, lo sport è un argomento particolarmente adatto per l’insegnamento della lingua straniera, grazie alla sua ricchezza lessicale (pensiamo, ad esempio, ai nomi delle squadre di calcio attraverso i colori delle magliette o i nomi in latino delle città) e alla grande varietà di tipologie testuali che coinvolge (es. racconti, romanzi, poesie, canzoni, articoli di giornale, pubblicità, ecc.). Non solo, aiuta anche lo sviluppo di competenze interculturali relative al tema, che permette di stabilire confronti con la propria cultura in base al modo di vivere uno sport.

Per quanto riguarda il “come”, si può ricorrere a diversi metodi, quali TPR, CLIL, Task-based learning, Project Working, e altri ancora, da scegliere sulla base di sperimentazioni in classi di lingua.

Per concludere, la creazione di un sillabo specifico per lo sport si inserisce nella promozione sociale, culturale e linguistica di tutti i cittadini, come fruitori, apprendenti e -non ultimo- docenti.

Bibliografia

Appadurai A., (1996). Modernity at Large: Cultural Dimensions of Globalization. Minneapolis: University of Minnesota Press.

Caon F., Ongini V., (2008). L’Intercultura nel pallone. Italiano L2 e integrazione attraverso il gioco del calcio, Roma: Sinnos + DVD

Consiglio d’Europa. (2001). Common European framework of reference for languages. Learning, teaching, assessment, Cambridge: Cambridge University Press. Ed. it. [Quadro comune europeo di riferimento per le lingue. Apprendimento insegnamento valutazione, trad. di D. Bertocchi e F. Quartapelle Firenze, La Nuova Italia, 2002]

Fumagalli G., (2005). Figli di un Rio minore. A lezione da Gianni Brera, Arezzo: Limina.

Galisson R., (1978). Recherche de lexicologie descriptive, la banalisation lexicale: Le vocabulaire du football dans la presse écrite. Paris: Nathan.

Petrocchi F., (2003). La rappresentazione dello Sport. Sport e letteratura edito in Enciclopedia dello Sport vol. VIII Arte Scienza Storia, Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana, pp. 350-384 disponibile on line http://www.treccani.it/enciclopedia/sport-e-letteratura-nella-storia_(Enciclopedia-dello-Sport)/

Petrocchi F. (cur.), (2012). Leggere lo sport, Bologna: Archetipo.

Porro N., (2003). Sport plurale e cittadinanza sportiva, in Bottiglieri N. (cur.), Letteratura e Sport, Atti del Convegno Internazionale (5-6-7 Aprile 2001, IUSM, Foro Italico, Roma), Arezzo: Limina, pp. 355-66

Titta Rosa G., Ciampitti F.(cur.), (2005). Prima antologia degli scrittori sportivi, Arezzo: Limina.

Welsch W., (1999). Transculturality: The Puzzling Form of Cultures Today, in Spaces of Culture: City, Nation, World, London, Sage ed. by Mike Featherstone and Scott Lash, pp. 194-213.

L’arte nella classe di lingua italiana e Giocare in classe con Pinocchio

L’arte nella classe di lingua italiana (Arianna Catizone)

Riassunto di Ornella Bernardi

Sesso e droga, bellezza e bruttezza, agenzie matrimoniali e furti di quadri antichi. L’ultimo film di Almodovar? No! È il workshop sull’arte a lezione tenuto da Arianna Catizone del Centro Lingua italiana di Madrid.

Si comincia subito con un quesito amletico, ovvero perché l’arte a lezione? Semplice: l’immagine, spiega Arianna, è un linguaggio universale e l’arte è una disciplina che va al di là del testo scritto, oltre ad essere parte integrante della cultura italiana. E non è strettamente necessario essere ferrati in materia: qui l’arte è il mezzo e non il fine.

Durante il workshop Arianna ha proposto una serie di attività originali, di stampo chiaramente dilitiano, create ad hoc per le sue lezioni. Sono tutte di diversi livelli, a partire dal B1, ma si possono calibrare per diverse classi; la maggior parte sono comunque per livelli avanzati B2-C1.

Attività di ricezione scritta. Lettura autentica: si propone agli studenti un articolo tratto dalla Stampa, Botticelli, sesso e droga per Marte, in cui si disquisisce  sul fatto che nel quadro Venere e Marte Botticelli abbia disegnato un frutto allucinogeno. Ogni studente procede da solo a una prima lettura. È importante specificare che l’obiettivo è capire il senso generale del testo. Dopo una prima lettura si proietta l’immagine del quadro in questione. Si mettono gli studenti a coppie affinché si scambino le informazioni capite e si procede poi a una seconda lettura e a un secondo scambio con un compagno diverso. Se è necessario si può procedere a una terza o quarta lettura e a un relativo terzo o quarto scambio; se poi si desidera, ci si confronta in plenum. L’attività si concentra unicamente sulla comprensione del testo.

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– Attività di ricezione scritta e produzione libera orale. Lettura differenziata: come attività introduttiva si propongono alcune brevi frasi di critiche a opere d’arte famose da leggere e commentare in plenum. Si consegna poi a metà classe una fotocopia con un estratto da Storia della bellezza e all’altra un estratto da Storia della bruttezza, entrambi di Umberto Eco. Dopo una prima lettura si formano coppie che hanno letto testi diversi, che avranno l’opportunità di scambiarsi le diverse informazioni. Come dice Torresan “Il vuoto d’informazione (gap information) rappresenta, difatti, una molla straordinaria per motivare gli studenti ad un’analisi approfondita, ad una ricerca ripetuta, data l’esigenza di colmare le differenze di interpretazione”. Produzione libera orale: in seguito all’attività precedente è possibile proporre un’attività intitolata Museo del bello e del brutto: ogni studente riceve quattro post-it di due colori diversi. Su due scriverà un oggetto, un’opera o un monumento che a suo giudizio dovrebbero entrare nel museo del bello, e sugli altri due nel museo del brutto. Tutti gli alunni attaccheranno poi i post-it in due parti diverse della lavagna, si procederà a una rapida lettura e si comincerà un “talk-show” in cui si discute in plenum sul perché delle proprie scelte.

– Attività di produzione libera orale. Si propongono una serie di immagini che ritraggono rappresentazioni della donna (o dell’uomo) che vanno dalla statuetta preistorica alle sensuali attrici del XX secolo, passando per le Veneri rinascimentali; si osservano le immagini e si discute in plenum sull’evoluzione del concetto di bellezza durante la storia dell’umanità. Il dibattito, assicura Arianna, sarà accesissimo.

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Attività di produzione controllata orale. L’attività si intitola La mostra d’arte moderna. Si divide la classe in due: gli studenti del Gruppo 1 devono accompagnare un amico a  vedere una mostra d’arte moderna per fargli un piacere perché in realtà a loro non piace; gli studenti del Gruppo 2 invece sono appassionati di arte contemporanea e vanno alla mostra accompagnati da un amico che non apprezza per nulla l’arte contemporanea. È necessario proporre quadri (fotocopie a colori o immagini proiettate) che accendano il dibattito (come ad esempio i tagli di Lucio Fontana). Si procede poi al confronto a coppie tra i componenti dei due gruppi i quali devono convincersi a vicenda delle loro opinioni in merito.

FullSizeRender Attività di ricezione scritta (lettura e lettura differenziata) e produzione libera orale. Si divide la classe in due (A e B). A ogni alunno della metà A si consegnano due fotocopie (Donne A e Uomini A) che contengono una serie di ritratti, una di uomini e l’altra di donne, di quadri rinascimentali. All’altra metà si consegnano due fotocopie (Donne B e Uomini B) che contengono altri ritratti. In ogni fotocopia ci sono tre colonne: la prima contiene immagini, la seconda una descrizione tratta da libri di arte, e la terza il titolo del quadro e il nome e il cognome dell’autore. La prima e la terza colonna sono in ordine, mentre la seconda no. Nella prima attività l’alunno, da solo, deve abbinare l’immagine al testo. Ci si confronta poi con un compagno che ha le stesse immagini. Una volta abbinati il testo e l’immagine, si pensa di essere un’agenzia matrimoniale e di dover compilare per ogni ritratto una scheda-cliente, inventando le informazioni relative a età, professione, hobby, qualità/difetti e partner ideale. Poi si mette insieme uno studente A e uno studente B per cercare di formare coppie a seconda delle informazioni proposte nelle proprie schede.

– Attività di ricezione orale, ascolto guidato. Arianna ha proposto a lezione, suddiviso in varie parti, il podcast sul furto della Gioconda raccontato da Lucarelli. Per ogni parte gli alunni vanno alla ricerca di informazioni specifiche a loro richieste e il brano viene riascoltato tutte le volte necessarie a risolvere i quesiti posti. È possibile un confronto a coppie.

Infine altre attività da proporre potrebbero essere un abbinamento immagine testo di immagini di animali di monumenti o di quadri con nome di animale e relativi proverbi; di immagini di oggetti simbolici e testi con relativa spiegazione;  un’immagine di una piantina e di un interno di una chiesa e le definizioni delle parti dell’edificio. Altrimenti è possibile portare a lezione un cloze misto con le immagini di tre diversi David e tre testi che li descrivono in cui sono state cancellate alcune parole che gli studenti devono reinserire. Vengono fornite le parole.

Con questo workshop Arianna ha voluto dunque dare ai colleghi un’idea di come possa essere semplice portare l’arte a lezione tramite una serie di attività divertenti che possono essere facilmente svolte anche da chi non è un profondo conoscitore della disciplina.

Bibliografia:

Giocare in classe con Pinocchio (di Imen Hassen)

Naso di legno, scansafatiche, con scarpe di zuppa e pan bagnato, il vestitino di carta colorato. Chi è? Sì, è proprio lui: il burattino più famoso del mondo!

PINOCCHIO

Il workshop di Imen Hassen, che insegna italiano all’Istituto di lingua applicata al commercio internazionale di Mahdia in Tunisia, è cominciato con un caposaldo della didattica: per raggiungere grandi risultati a lezione è necessario motivare e uno degli elementi che può aiutare a mantenere vivi l’interesse e l’attenzione degli studenti è  l’uso di materiali didattici adeguati alle esigenze e ai gusti della classe.

Imen ha pensato che utilizzare una serie di attività basate sul film di Benigni, sulla canzone del nuovo cartone animato e sulla rivisitazione teatrale del libro di Pinocchio permettessero agli alunni del suo istituto di avvicinarsi all’italiano in un’atmosfera giocosa e rilassante. La scelta è ricaduta su Pinocchio, spiega Imen, in quanto personaggio universale e intertestuale amato da tutti.

In questo post proponiamo una serie di idee che Imen ha condiviso con noi durante il workshop.

1) ATTIVITÀ BASATE SULLA CANZONE per studenti tunisini A2/B1. La canzone utilizzata è la sigla dell’ultimo cartone animato dedicato a Pinocchio. Per visualizzare il testo potete cliccare qui.

Si può chiedere agli studenti di:

  • riassumere e dare un titolo alla canzone;
  • sottolineare le parole che definiscono Pinocchio, il campo lessicale delle feste e gli interrogativi e in seguito:
  • far descrivere il carattere di Pinocchio;
  • far analizzare le feste del mondo cristiano e l’alimentazione ad esse connessa;
  • cambiare la canzone aggiungendo delle strofe;
  • cambiare il testo della canzone a seconda della nuova identità di Pinocchio (il passaggio da bambino a burattino);
  • risolvere un crucipuzzle dove devono individuare le parole relative alle parti del corpo, aggiungere l’articolo e trasformarle al plurale;
  • riordinare nuvole di parole di frasi ispirate alla canzone per lavorare sulla sintassi;
  • scrivere una composizione in cui descrivere la propria personalità comparandola con quella di Pinocchio;
  • tradurre la canzone dall’italiano al francese;
  • iniziare un dibattito sulla diversità.

2) ATTIVITÀ BASATE SUL FILM di Benigni per studenti tunisini B2/C1.

d86526a0-9101-11e4-b9a8-7d44da19298c_locandina-pinocchio-roberto-benigniSecondo Imen è possibile decidere se visionare film intero o a spezzoni. In seguito alla visione si può chiedere agli alunni di:

  • analizzare i ruoli dei personaggi e descriverli soprattutto in base alla cinesica, alla vestemica e alla prossemica;
  • descrivere la casa di Geppetto e lavorare quindi sul lessico relativo alla casa;
  • cercare i suoni degli animali in italiano;
  • cercare i materiali che si conoscono oltre al legno;
  • giocare al logogrifo (formare parole di varia lunghezza utilizzando solo alcune delle lettere di una parola di partenza), es. Pinocchio pino, occhio, chi, io, no, occhi, pochi, poco, noi, noci, picchio
  • iniziare un dibattito o scrivere un testo su il/la miglior/peggior: animale, avventura, scena, personaggio;
  • immaginare un discorso diretto tra la fatina e Pinocchio o descrivere cosa ha fatto Pinocchio per meritarsi questa fine basandosi su alcuni fermo immagine;
  • giocare con la storia: e se Pinocchio fosse una ragazza? O un bravo ragazzo? E se Geppetto fosse cattivo?
  • pensare a Pinocchio nel ventunesimo secolo: chi potrebbe essere? Un politico, un attore, un insegnante, un vostro compagno?
  • far cambiare il finale o il titolo, far sostituire alcuni personaggi o battute.

3) TEATRO

Per Imen le attività teatrali a lezione sono un vero toccasana: aiutano a combattere la timidezza e aumentano la propria autostima, servono a migliorare la pronuncia, a improvvisare in lingua straniera nonché ad accrescere la propria competenza linguistica e comunicativa, e infine a conoscere la cultura e la storia di un paese. Ha proposto a lezione questa versione teatrale (Pinocchio testo teatrale) a cui ha lavorato tutto l’anno per portarla in scena l’ultimo giorno del corso.

Imen ha infine concluso il workshop spiegando di aver voluto condividere una serie di idee su come poter lavorare con materiali molto flessibili provenienti da tre mondi artistici complementari con l’obiettivo di innovare e far divertire a lezione.
Bibliografia:

Collodi, C.  (2012) Le avventure di Pinocchio, Burragazzi, Milano.

Diadori P. (2002), “Il cinema per imparare l‟italiano”, in Atti del IV seminario di aggiornamento insegnanti di italiano L2, ASILS Roma 2002.
Apprendere con le canzoni (2012) in Officina.it, aprile.

“Se non puoi sconfiggerlo, fattelo amico! L’uso dello smartphone nella classe di lingua” e “Risorse multimediali e glottodidattica: disegno di attività per corsi presenziali e online”

Se non puoi sconfiggerlo, fattelo amico! L’uso dello smartphone nella classe di lingua – Giorgio Massei

Riassunto di Adriana Calise

Alzi la mano chi non si è mai trovato a far lezione con alunni distratti dai loro cellulari. Squilli improvvisi, vibrazioni metalliche, foto condivise sotto i banchi, occhi rivolti verso il basso per scrivere… è questa la realtà quotidiana per chi insegna, soprattutto in ambito scolastico o universitario, alla generazione dei nativi digitali.

Non è necessario aggiungere che le avete già provate tutte per evitare che i vostri studenti usino i telefonini per scopi non didattici. E scommetto che, purtroppo, ancora non ci siete riusciti…

Ebbene, arrendiamoci! È una guerra persa in partenza. A meno che, invece di combattere contro questo “nemico”, non ci alleiamo con lui e ne sfruttiamo le potenzialità.

Il workshop di Giorgio Massei, direttore di Edulingua ed esperto di nuove tecnologie, ci è servito a cambiare prospettiva rispetto a queste situazioni molto frequenti in classe.  È innegabile, infatti, che dal 1927, anno in cui il grammofono fu considerato un primo esempio di portabilità di audio, fino ai giorni nostri, in cui si stanno conducendo studi sulla realtà aumentata, l’evoluzione delle tecnologie sia stata enorme, rapida e rivoluzionaria. Tanto che probabilmente a breve il concetto di M-Learning, l’apprendimento attraverso il cellulare, potrebbe essere considerato già superato.

Partendo dal concetto di TPACK, il modello che integra le conoscenze tecnologiche, didattiche e disciplinari necessarie a un docente che lavora in un contesto attuale, Giorgio ha voluto mostrarci come, superati i primi ostacoli, si possa sfruttare lo smartphone con finalità didattiche.

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Questo strumento, infatti, consente di ripensare i luoghi e lo spazio-classe, e di superare la distinzione tra apprendimento formale VS informale, valicando i confini dell’aula e uscendo “virtualmente” dalla classe proprio grazie al cellulare.

Ovviamente, vi starete chiedendo come superare alcuni inconvenienti pratici, ad esempio l’eventualità che non tutti gli studenti abbiano uno smartphone o il costo del traffico dati: innanzitutto, non è necessario che tutti posseggano un cellulare di ultima generazione, anzi la condivisione dello strumento favorisce la collaborazione all’interno di un gruppo; inoltre, non tutte le attività richiedono la connessione a internet e oggigiorno è molto diffusa la possibilità di collegarsi via wifi alla rete dell’edificio.

Se, invece, state pensando a problemi legati all’efficacia delle attività o all’uso del tempo, sono rischi che si corrono sempre quando si lasciano gli studenti liberi di lavorare in gruppo; eventuali complicazioni legate al tema della privacy, invece, devono essere trattate con maggiore cautela, evitando, ad esempio, di far registrare studenti minorenni a pagine web con i propri dati personali.

Ma concentriamoci ora sui vantaggi dell’uso dello smartphone come strumento didattico da utilizzare in classe. Alcune delle funzioni di un cellulare di ultima generazione, infatti, possono essere sfruttate in aula con fini didattici, oltre ad essere validi supporti per l’autoapprendimento.

Ad esempio, con la fotocamera possiamo organizzare:

  • una caccia al tesoro a gruppi e vince chi fotografa il maggior numero di oggetti di marche italiane;
  • un “trova le differenze”, fotografando oggetti che non possono trovare in Italia o oggetti reperibili sono nel nostro paese;
  • la stesura di una storia partendo dalla foto come traccia narrativa;
  • un puzzle con foto a pezzi;
  • una drammatizzazione usando la foto come sfondo per l’altro gruppo;
  • il racconto della giornata tipica, fotografando gli studenti che mimano le azioni;
  • l’alfabeto per immagini.

Con la videocamera si può:

  • registrare un roleplay e poi cercare gli errori;
  • registrare una scena senza audio e poi l’altro gruppo deve scrivere un’ipotesi di conversazione;
  • realizzare un’intervista doppia o a specchio.

Con il registratore vocale si possono fare interviste per strada e poi farle trascrivere agli alunni e con l’applicazione per la dettatura vocale si possono realizzare esercizi di correzione della punteggiatura.

Poi ci sono le note, i dizionari, le mappe o il traduttore, che si può sfruttare a nostro vantaggio perché gli errori che commette sono utili per esercitarsi nella loro correzione. Si possono, inoltre, scaricare applicazioni per creare Flashcards o per organizzare tornei di Ruzzle.

Arriviamo, infine, ad applicazioni con molteplici funzioni, come Edmodo o Examtime, attraverso le quali si creano comunità di apprendenti che condividono appunti, mappe mentali o carte per memorizzare il vocabolario; o Teacherkit e Socrative, sistemi semplici per effettuare quiz e verifiche in classe sotto forma di gara o gioco.

Alla fine del workshop, noi docenti abbiamo usato Kahoot per partecipare a un quiz attraverso un codice che consente a tutti di giocare contemporanemente, utilizzando lo smartphone come control pad per rispondere alle domande in tempo reale, senza scaricare applicazioni né registrarsi in rete.

Insomma, Giorgio ci ha proposto queste e molte altre attività utili per sfruttare la tecnologia degli smartphone a nostro vantaggio e superare il divario generazionale che ci separa dagli studenti.

Se noi docenti non vogliamo estinguerci come i dinosauri, infatti, non possiamo continuare a combattere contro un progresso inevitabile, ma dobbiamo aggiornarci dal punto di vista informatico e tecnologico e ribaltare a nostro favore la situazione, integrando nella programmazione le ultime tecnologie come strumenti didattici.

Bibliografia 

http://tpack.org

http://www.socrative.com

https://www.edmodo.com/?go2url=%2Fhome

https://www.examtime.com/es-ES/

http://www.teacherkit.net

https://getkahoot.com

http://ruzzle-game.com

Risorse multimediali e glottodidattica: disegno di attività per corsi presenziali e on-line – Emanuela Agati

Riassunto di Ilaria Bada

Come si può progettare un’attività didattica con le risorse disponibili on-line?

Il workshop tenuto da Emanuela Agati ci ha offerto varie risposte a quest’unica domanda.

Emanuela, che ora insegna a Orvieto, è stata docente di italiano all’Università di Monterrey, dove ha iniziato a progettare attività didattiche on-line da inserire nei suoi corsi di lingua italiana, sia durante le lezioni nel laboratorio di informatica, sia come compiti a casa. Nel corso dei suoi esperimenti si è accorta che la tecnologia permette di realizzare attività significative, varie e originali, e soprattutto di abbassare il filtro affettivo degli studenti, che le svolgono in un clima rilassato e giocoso.

Qui di seguito riporteremo alcune delle attività create come compito a casa per gli studenti da Emanuela, che le ha presentate nel suo workshop con il supporto di un prezi visibile on-line.

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Il primo compito è stato progettato da Emanuela con il supporto di Voki, una risorsa on-line che permette di personalizzare un avatar e fargli leggere dei messaggi scritti dall’utente. Voki è uno strumento di facile utilizzo, con un design intuitivo, un processo di registrazione rapido e che offre la possibilità di salvare gli avatar creati e generare un link per incollarli nel proprio blog, su Facebook, Twitter e altri social network. Emanuela ha scelto di utilizzare questo strumento per rendere più divertenti e appetibili i compiti a casa di due gruppi di suoi studenti, i quali avevano solo una lezione di italiano a settimana.

Un primo gruppo di alunni, di livello A1/A2, ha dovuto creare un voki che dicesse cosa sapeva fare e cosa conosceva (qui è possibile vedere uno dei lavori prodotti dagli alunni), per esercitarsi a casa sulla differenza, già spiegata in classe, tra i verbi sapere e conoscere.

Al gruppo di livello B1, invece, è stato chiesto di dare vita a un avatar che descrivesse il suo aspetto fisico e il suo carattere, sul modello di quello offerto come esempio da Emanuela (visibile qui), per riutilizzare il lessico della descrizione personale introdotto a lezione.

I voki venivano poi pubblicati dagli studenti sul gruppo Facebook della classe e visionati e commentati all’inizio della lezione successiva, per valorizzare il lavoro svolto dagli studenti e per motivarli a fare i compiti, oltre che per riattivare le conoscenze pregresse. La correzione degli esercizi svolti, grazie alla mediazione della tecnologia, avveniva sempre in un clima disteso: gli alunni non avevano paura di “perdere la faccia” in caso di errore, dato che non erano loro a parlare ma un loro rappresentante virtuale. La personalizzazione del voki, inoltre, apportava un elemento ludico, che incoraggiava gli studenti alla riproduzione degli avatar dei propri compagni e che manteneva viva l’attenzione degli alunni durante la fase di correzione.

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Elemento ludico e clima disteso durante la correzione contraddistinguono anche la seconda attività presentata da Emanuela, che l’ha ideata facendo ricorso a Vocaroo, un registratore on-line di libero accesso

In questo caso l’obiettivo dell’esercizio è stato quello di far usare, a una classe di studenti di livello B1, il futuro per fare ipotesi nella forma stare+gerundio. Per svolgere l’esercizio gli alunni hanno dovuto prima registrare con Vocaroo tre suoni prodotti durante l’esecuzione di un’attività qualsiasi, poi pubblicare le tre registrazioni sulla pagina Facebook della classe e infine commentare nel gruppo almeno tre registrazioni dei compagni, facendo ipotesi sulle attività eseguite. Anche in questa occasione si trattava di un compito a casa, la cui correzione avveniva in plenum all’inizio della lezione seguente. L’esercizio ha riscosso un grande successo tra gli studenti di Emanuela, che hanno condiviso molte registrazioni (qui se ne può ascoltare una) e si sono divertiti a commentare quelle degli altri partecipanti al corso.

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Un altro compito a casa da svolgere con l’aiuto di Vocaroo può essere creato facilmente prendendo un video da YouTube, Vimeo, o altre piattaforme simili, verosimilmente già note sia a noi docenti sia tutti i nostri alunni.

Emanuela ha scelto di usare queste due tecnologie per far lavorare i suoi alunni sulla forma stare+gerundio, cercando su YouTube un video con azioni in svolgimento e fornendo loro un elenco di verbi da usare; gli studenti, di livello A1, hanno poi dovuto descrivere le azioni viste registrando la loro voce con Vocaroo. Il vantaggio di questa attività è che permette agli alunni di eseguire la produzione orale in una situazione di basso stress emotivo, dato che sono soli di fronte al proprio computer, e di migliorare la loro performance fino a quando non ne saranno del tutto soddisfatti, poiché Vocaroo permette di registare, ascoltare la propria registrazione e rifarla quante volte si vuole. La modalità di condivisione e correzione di questo esercizio non si distingue da quelle citate sopra, e prevede che gli studenti incollino il link del proprio compito nel gruppo Facebook della classe e che le attività svolte a casa vengano commentate all’inizio della lezione successiva.

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Per concludere la sua presentazione Emanuela ci ha ricordato che, come ogni altra attività, anche l’attività multimediale va contestualizzata all’interno del corso, e quindi progettata tenendo conto del calendario, degli obiettivi didattici e delle abilità che si vogliono sviluppare. Inoltre, quando si propone un compito di questo tipo agli studenti, è bene fornire loro, oltre ai classici i criteri di valutazione e termini della consegna, anche indicazioni chiare su come deve essere eseguito l’esercizio, e offrire almeno un esempio di attività svolta. Data la novità che rappresenta per gli alunni il compito a casa di tipo multimediale, anche le indicazioni sull’uso delle tecnologie necessarie al suo svolgimento sono un sussidio indispensabile.

Ma perché usare le tecnologie quando ci sono già tantissimi tipi di attività divertenti e che abbassano il filtro affettivo? Secondo Emanuela le TIC vanno utilizzate perché sono coerenti con la definizione di insegnante-facilitatore, ossia quella persona che cerca sempre nuovi strumenti per motivare i propri alunni e per sfruttare al massimo le risorse presenti nell’ambiente di apprendimento.

Ulteriori spunti per attività da svolgere in classe o a casa con il supporto delle risorse on-line si possono reperire nel prezi di Emanuela, nel suo blog e nella sua pagina Facebook.

Bibliografia

Balboni P. E., Intercultural Comunicative Competence: A Model, Perugia Guerra, 2006; versione spagnola: La competencia comunicativa: un model.

ID., La comunicazione interculturale, Venezia, Marsilio, 2007

ID., Una glotodidàctica basada en la teoria de los modelos, Perugia, Guerra, 2010

ID., Conoscenza, verità, etica nell’educazione linguistica, Perugia, Guerra, 2011

ID., Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, Terza Edizione completamente ristrutturata e aggiornata, Torino, Utet Università, 2012

ID., Migliorare l’efficienza nell’apprendimento linguistico, Perugia, Guerra, 2014

Balboni P. E., Coonan C. M. (a cura di), Fare Clil. Strumenti per l’insegnamento integrato di lingua e disciplina nella scuola secondaria, Torino, Loescher, 2014, disponibile on-line: http://www.laricerca.loescher.it/index.php/quaderni/89-quaderni/978-i-quaderni-della-ricerca-14

Balboni P. E., Mezzadri. M. (a cura di), 2014, L’italiano L1 come lingua dello studio, Torino, Loescher, 2014, disponibile on-line: http://www.laricerca.loescher.it/index.php/quaderni/89-quaderni/977-i-quaderni-della-ricerca-15

Benson P., Wong L., In-service CALL education. What happens after the course is over?, in Hubbard P., Levy M. (ed.), Teacher education in CALL, Amsterdam, John Benjamins Publishing Co, 2006

Bianchi A., La didattica laboratoriale e le nuove tecnologie, in Indire, Marzo 2013 http://www.indire.it/content/index.php?action=read&id=1777

Bruni F., Fiorentino G., Didattica e tecnologie. Studi, percorsi e proposte, Roma, Carocci, 2013.

Caon F., Serragiotto G., Tecnologia e didattica delle lingue: teorie, risorse e sperimentazioni, Torino, Utet, 2012

Celentin P., Luise M. C., Formazione online dei docenti di lingue (Riflessioni e proposte per favorire l’interazione tra metodi e contenuti), in EL.LE, vol. 3, n. 2, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, luglio 2014

“Grammatica per la costruzione della competenza comunicativa” e “Riflessione metalinguistica e interazione orale: un binomio (im)possibile”

Grammatica per la costruzione della competenza comunicativa – Ludovica Colussi

Riassunto di Ornella Bernardi e Antonietta Vinciguerra

Panico, felicità, noia, sicurezza. E voi cosa provate quando sentite la parola “grammatica”?

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Con la simpatica vignetta che ha aperto il workshop, Ludovica Colussi (Casa delle Lingue) ha proposto la vexata quaestio: concentrarsi sulla forma o sul significato?

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I modi di intendere la grammatica sono molteplici. Secondo il Sabatini-Coletti la grammatica può essere:

  1. l’insieme delle convenzioni che regolano un particolare sistema linguistico;
  2. la scienza che studia le convenzioni normative di un sistema linguistico ai livelli fonologico, morfologico, sintattico;
  3. il saper parlare e scrivere in modo corretto.

Ma siamo sicuri che una volta appresa la grammatica, si sappia parlare e scrivere correttamente?! La competenza comunicativa, infatti, è composta non solo dall’abilità linguistica e quindi grammaticale, ma anche da una serie di abilità sociolinguistiche, discorsive e strategiche che il parlante mette in atto al momento di comunicare.  Ludovica ha paragonato la comunicazione alla costruzione di ponti: per edificare sono necessari sia i materiali (la grammatica), sia altri strumenti che rendano questi materiali realmente utilizzabili. La grammatica, così  come i materiali, è indispensabile ma non sufficiente.

Ma, una volta assodato che la grammatica è imprescindibile, come introdurre la grammatica all’interno di un percorso di insegnamento? Per far ciò abbiamo analizzato un’attività di Bravissimo! 1 sull’uso delle forme “c’è” e “ci sono”, dove si lavora sui contenuti in modo implicito.

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Bravissimo! 1

Solo così il discente ha un ruolo veramente attivo e ha la possibilità di “costruire” la grammatica a partire da materiali reali o realistici, diventando così il vero protagonista del processo di apprendimento. Al contrario, se la grammatica viene proposta in modo esplicito, lo studente avrà un ruolo passivo, memorizzerà per poco tempo regole preconfezionate su cui non ha ragionato e non attiverà praticamente le proprie conoscenze e strategie.

Dopo essere stata appresa in modo implicito, durante l’apprendimento la grammatica verrà a poco a poco interiorizzata e usata anche inconsapevolmente;  in questo modo collaborerà alla costruzione e al rafforzamento della competenza comunicativa dello studente. Dunque, di fatto la grammatica è una conoscenza in fieri, mai rigida nella mente dello studente, bensì duttile e in continuo sviluppo a partire dagli input che si ricevono a lezione.

Infine, se l’obiettivo ultimo della comunicazione è compiere atti comunicativi efficaci, questi non potranno mai prescindere dalla conoscenza della grammatica che è sottesa ad essi, poiché questa dovrà essere supportata anche dalla messa in atto di strategie e competenze di tipo extralinguistico.

Riflessione metalinguistica e interazione orale: un binomio (im)possibile di Marilisa Birello e Francesca Coltraro

Riassunto di Ilaria Bada e Adriana Calise

Cosa succede esattamente quando facciamo lavorare a coppie i nostri studenti? Come scaturisce l’interazione orale?  Ha un’utilità ai fini della riflessione metalinguistica?

Nel loro workshop, Marilisa Birello e Francesca Coltraro ci hanno presentato i risultati di due ricerche svolte proprio per rispondere a queste domande.

La prima indagine è stata effettuata da Simone Bonafaccia su una sua classe di studenti di livello A1 del centro linguistico dell’università di Würzburg, in Baviera, dopo 40 ore di esposizione alla lingua.

Prima di illustrare gli esiti della ricerca, Marilisa e Francesca ci hanno invitato a riflettere sul materiale che Simone ha usato con i suoi alunni, ovvero il manuale Bravissimo! 1. In particolare ci è stato chiesto di lavorare a coppie sulle pagine introduttive dell’unità 5 del testo, rispondendo alle seguenti domande:

  • come utilizzereste questo materiale?
  • quali sono gli input che vengono offerti?
  • quali difficoltà possono avere gli studenti?
  • quali strumenti possono aiutarli a svolgere l’attività?
  • quali istruzioni daresti?
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Bravissimo! 1

Come si può vedere dall’immagine, si tratta di una doppia pagina introduttiva in cui appaiono alcune foto con delle vignette, la cui finalità è evidentemente quella di far emergere le conoscenze pregresse, attivare l’expectancy grammar e introdurre il lessico e gli altri contenuti che saranno trattati nell’unità. Tutti ci siamo trovati d’accordo nell’usare il materiale per far lavorare gli studenti a coppie o in piccoli gruppi e abbiamo individuato le possibili difficoltà nel lessico non ancora noto e nella grammatica, soprattutto nei verbi irregolari. Le opinioni sulle istruzioni e gli strumenti da dare agli studenti, invece, non sono state altrettanto uniformi, e hanno generato un piccolo dibattito sull’eventualità di prevenire i possibili errori fornendo agli alunni qualche spiegazione grammaticale e lessicale di supporto.

La scelta di Simone è stata quella di non dare ai suoi studenti nessun aiuto lessicale o grammaticale, e limitarsi a introdurre brevemente i contenuti e le competenze che sarebbero state trattate nell’unità e che avrebbero permesso loro di arrivare al compito finale della stessa. Dopo aver riflettuto con gli alunni sul titolo un giorno come tanti, Simone li ha divisi a coppie e li ha portati a osservare le immagini e concentrarsi sulle frasi presenti nelle nuvolette, per reperire i contenuti necessari a rispondere in coppia alla domanda che da il titolo all’esercizio: quali sono i tuoi migliori momenti della settimana?

Come si nota attraverso la trascrizione di una loro conversazione, che Marilisa e Francesca ci hanno chiesto di analizzare, la performance degli alunni risulta più che soddisfacente.

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Bonafaccia (2015)

I ragazzi, infatti, si cimentano in una riflessione sulla lingua che coinvolge lessico, grammatica e fonetica, nella quale si trasformano in “detective” armati di tutto il loro repertorio linguistico e didattico, e quindi l’assenza di chiarimenti lessicali e grammaticali previ è uno stimolo, e non un ostacolo, all’analisi e al confronto. Il lavoro di coppia produce un ambiente rilassato che favorisce la performance comunicativa degli studenti, invita alla sperimentazione e permette loro di negoziare, modificare e riformulare quello che vogliono dire, facendoli sentire più sicuri e abbassando il filtro affettivo.

Tutti questi aspetti sono presenti anche nella seconda ricerca, che è stata svolta da Francesca con un gruppo di studenti dell’Escuela de Idiomas Modernos dell’Università di Barcellona.

Questa volta il nostro compito è stato quello di individuare, a partire dalla trascrizione di una conversazione in coppia, i seguenti elementi:

  • livello degli studenti
  • risorse linguistiche che si stanno studiando
  • problemi che gli alunni si trovano ad affrontare
  • similitudini e differenze con il caso precedente.

A fronte di una rapida analisi, abbiamo rilevato che anche in questo caso la conversazione rivela una ricca riflessione metalinguistica da parte degli studenti, che collaborano per identificare le forme verbali grammaticalmente corrette e la pronuncia esatta, e per comprendere il lessico nuovo. Come già notato nelle trascrizioni dell’università di Würzburg, il lavoro di coppia permette una notevole autoreferenzialità e genera un dialogo disteso e addirittura giocoso, nel corso del quale gli interlocutori si scambiano battute e scherzi.

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Coltraro (2014)

Sorprendentemente gli studenti hanno alle spalle solo 25 ore di esposizione alla lingua nel momento in cui Francesca registra le loro conversazioni, nelle quali è evidente il vantaggio apportato, ai fini della comprensione e della produzione orale, dall’affinità tra l’italiano e le L1 degli alunni (catalano e spagnolo).

Il materiale sul quale lavorano gli alunni dell’università di Barcellona è la pagina 77 di Bravissimo! 1, dove viene richiesto agli studenti di completare con degli aggettivi a scelta alcune descrizioni caratteriali che li riguardano.

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Al termine dell’analisi delle conversazioni degli studenti di Würzburg e di Barcellona abbiamo potuto concludere che il lavoro di coppia basato su un compito presenta tre vantaggi fondamentali:

  • l’apertura di uno spazio interattivo disteso e rilassato che favorisce di per sé la comunicazione;
  • l’opportunità di cooperare nella discussione di vari aspetti della lingua obiettivo;
  • la possibilità di riflettere sulla lingua favorendo l’apprendimento delle strutture grammaticali e generando sequenze potenzialmente acquisizionali.

Bibliografia

Birello, M., Vilagrasa, A., (2012) Bravissimo! 1, Barcellona, Casa delle Lingue

Bonafaccia, S. (2015) Feedback grammaticale dei discenti tedeschi durante l’interazione. Tesi inedita. Venezia: Università di ca’ Foscari

Coltraro, F. (2014) A lezione con i task: una ricerca qualitativa etnografica in due corsi d’italiano per stanieri a Barcellona.  Tesi inedita. Siena: Università per Stranieri di Siena.

Contin, R. (2014) Birello, Marilisa; Vilagrasa, Albert (2012), Bravissimo! (corso d’italiano per stranieri). Barcellona: Casa delle lingue, in Rassegna lberistica vol.37 – Num. 10

Littlewood, W. (2000) The task-based approach: some questions and suggestions, ELT Journal 58(4): 319-326

Orletti, F. (2000) La conversazione diseguale. Potere e interazione, Roma, Carocci

Skehan, P. et. al. (2012) The task is not enough: Processing approaches to taskbased performance, Language Teaching Research 16 (2): 170-187

Skehan, P. (2003) Task based Instruction, Language Teaching 36: 1-14

Skehan, P. (1996) A Framework for the Implementation of Task-based Instruction, Applied Linguistics 17 (1): 38-62.

Dai testi al compito comunicativo per un livello B2 e Proposte di attività per lo sviluppo della comprensione scritta

Il terzo articolo ruota intorno al tema della comprensione scritta, sia da un punto di vista teorico, sia con esempi pratici di didattizzazione di testi da usare a lezione. La prima parte è stata scritta a quattro mani da Ornella e Adriana, mentre al secondo workshop ha partecipato Ornella.

Adriana e Ornella vi augurano… buona lettura!

Dai testi al compito comunicativo per un livello B2 di Marilisa Birello e  Albert Vilagrasa

Perché leggere? E, soprattutto, perché leggere in classe? A questa domanda, dalla soluzione apparentemente semplice, abbiamo provato a rispondere all’inizio del workshop tenuto da Marilisa Birello e Albert Vilagrasa.

Cesare Pavese sosteneva che “leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati che acquistano sulla pagina un suggello di conferma”. Partendo da questa citazione, in aula abbiamo raccolto idee per tentare di rispondere alle due domande: crediamo che si legga per rilassarsi, per arricchire il proprio bagaglio culturale, per imparare una lingua, per emozionarsi e per godere della scrittura, ma anche per addormentarsi! A lezione, invece, il testo scritto viene usato per dare un input, per arricchire il lessico, per sviluppare la competenza scritta e orale, per analizzare strutture grammaticali, per far conoscere una cultura, per stimolare la curiosità o per iniziare un dibattito.

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Dopo il brainstorming tra colleghi, abbiamo analizzato a gruppi diversi testi contenuti in un estratto di Bravissimo 4, in base a questi parametri:

  • di quali temi si parla?
  • quali contenuti linguistici, pragmatici, testuali, ecc. sono presenti?
  • qual è l’obiettivo comunicativo?
  • quale conoscenza del testo e del mondo deve avere il lettore?

Attraverso una rapida analisi siamo arrivati alla conclusione che la comprensione del testo è il risultato dell’interazione tra il testo e il lettore a partire dalle conoscenze del testo e del mondo già in suo possesso. Una delle finalità intrinseche della lettura è modificare e ampliare suddette conoscenze, ma partendo dal testo come input si possono anche elaborare diversi compiti finali, come ad esempio analisi linguistiche, tematiche, pragmatiche, testuali, ecc.

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L’interazione di questi elementi genera comprensione.

Alla fine ci è stato chiesto di elaborare un criterio o un principio sulla lettura e le proposte di Albert e Marilisa sono state:

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Bibliografia:

Van Esch, K. (2010), La comprensión lectora del español como lengua extranjera: necesidades comunicativs, objetivos y métodos e enseñanza y aprendizaje, online in marcoELE

Iglesias, E. B. (2005), La comprensión lectora. Una propuesta didáctica de lectura de un texto literario, online RedELE nº3

Cassany, D., Luna, M. e Sanz, G. (2010), Ensenyar llengua, Barcelona, Graó.

Birello, M., Vilagrasa, A. (in stampa), Bravissimo 4, Barcelona: Casa delle Lingue

Proposte di attività per lo sviluppo della comprensione scritta di Montserrat Cañada (EOI Barcelona Drassanes)

Alzi la mano chi preferisce evitare la lettura di testi a lezione. Forse pensate che richieda troppo tempo e che gli studenti lo possano fare tranquillamente a casa. Se seguite questa scuola di pensiero, Montse Cañada dell’EOI Drassanes di Barcellona ha qualche consiglio che potrebbe interessarvi.

In questo workshop, infatti, Montse ha proposto alcune didattizzazioni di letture brevi che si discostano dai classici esercizi (abbinamento, domande vero/falso e a scelta multipla), che molto spesso non mirano a sviluppare la reale comprensione di un testo. Vediamo qui di seguito un paio di attività che potrete ripetere con molti altri testi.

La prima proposta si basa sul testo Lettera a Cristina, di Gabriele Romagnoli, tratto dal libro Navi in bottiglia. Pensata per un livello A2-B1, la didattizzazione mira a sviluppare la produzione scritta tramite la lettura. Si dà agli studenti la prima parte del microracconto, (cliccate qui per leggerlo) e la si taglia dopo la frase “Apre la busta”. Si chiede quindi di scrivere il seguito e si confrontano poi le risposte in plenum. In ultimo si legge insieme la conclusione dell’autore. Le proposte degli studenti supereranno in quanto a fantasia la versione originale!

Leonardo Pieraccioni e il suo racconto Punk danno il secondo spunto per un esercizio di comprensione testuale e di scambio di informazioni tra due compagni. Si propongono due letture differenziate (A e B) che descrivono due persone apparentemente diverse. Ogni studente deve disegnare il personaggio del proprio racconto e descriverlo poi brevemente al proprio compagno. Dopo essersi confrontati a coppie, gli studenti devono leggere un’altra parte di testo, che rivela che i due personaggi sono in realtà la stessa persona in due momenti diversi della sua vita.

Insomma, attraverso l’information gap in entrambi i casi si stimola il lettore alla ricerca di informazioni per una comprensione globale del testo e lo si spinge a svolgere ulteriori compiti, come quelli proposti da Montse.

Articoli, racconti, fiabe, storie brevi, brani di romanzi o di opere teatrali sono una ricca fonte di materiali che possono trasmettere agli studenti un’infinità di elementi lessicali, grammaticali, culturali, testuali e pragmatici nonché l’amore per la lettura.

Bibliografia:

Romagnoli, G. (2010), Navi in bottiglia, Milano, Garzanti

Pieraccioni, L. (2003), A un passo dal cuore, Milano, Mondadori

La valutazione nell’approccio orientato all’azione

Quando si comincia a parlare di valutazione entriamo in un mondo complesso su cui si è discusso e si discute da molto tempo. Con il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (QCER), apparso nel 2001, la didattica e la valutazione sono cambiate perché è cambiato fondamentalmente  il modo di pensare la lingua e gli apprendenti. Il Quadro difende l’idea che

L’uso della lingua, incluso il suo apprendimento, comprende le azioni compiute da persone che, in quanto individui e attori sociali, sviluppano una gamma di competenze sia generali sia, nello specifico, linguisticocomunicative. Gli individui utilizzano le proprie competenze in contesti e condizioni differenti e con vincoli diversi per realizzare delle attività linguistiche.

Di conseguenza se si vede la lingua come un mezzo per poter fare cose e gli apprendenti come agenti sociali che attivano le proprie competenze generali e specifiche per raggiungere i propri obiettivi, la valutazione non può limitarsi a prendere in esame solamente una parte e i test di valutazione non possono essere separati dall’approccio metodologico-didattico adottato in classe (Chini & Bosisio, 2014).

L’effetto washback che il Quadro ha avuto sulla valutazione è stato di certo positivo sulla didattica perché ha portato l’insegnante a tener conto non solo della correttezza morfologica e sintattica delle produzioni degli studenti ma anche a prestare attenzione all’interazione orale, agli elementi pragmalinguistici, alla padronanza del lessico che fino a quel momento non erano stati presi in considerazione. Bisogna però pensare un approccio alla valutazione più ampio, una valutazione dell’apprendimento ma anche una valutazione per l’apprendimento. Ci sono già a disposizione strumenti in questo senso, il portfolio descritto nel Quadro comune europeo di riferimento per le lingue ne è un esempio.

Se è importante unire la valutazione all’approccio metodologico-didattico e se il tipo di valutazione per questo effetto-riflusso dagli esami ai corsi è determinante, come valutare le competenze degli studenti in un approccio orientato all’azione?

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Bravissimo – Prove di verifica A1 

Nella prospettiva didattica descritta nel QCER si chiede all’insegnante di proporre agli apprendenti dei compiti che i discenti dovranno eseguire attraverso una serie di interazioni sociali reali mettendo in gioco tutte le loro abilità: linguistiche e non. La valutazione dovrà essere coerente con l’approccio e dovrà proporre situazioni di valutazione in cui si tengono in conto tutte le abilità dello studente. La difficoltà risiede nel valutare competenze linguistiche a partire da situazioni reali. C’è chi ha deciso di far cucinare un piatto ai propri studenti per valutare la loro competenza nella comprensione scritta. Se il piatto preparato era riuscito bene e riscontrava il gradimento dei commensali voleva dire che l’apprendente aveva capito bene le istruzioni della ricetta che aveva letto (ma bisognerebbe anche tener conto il talento in cucina dello studente in questione!). Un modo simpatico per dire che nell’approccio orientato all’azione la valutazione non si dovrebbe limitare agli aspetti prettamente linguistici.

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Bravissimo – Prove di verifica A1 

Questa valutazione che possiamo denominare qui “naturale” sarà però difficile da realizzare in un contesto scolastico-accademico, bisognerà cercare un punto intermedio in cui gli studenti possono fare la prova di verifica delle competenze, motivati non tanto (o non solo) dal desiderio di realizzare correttamente l’esame ma anche di raggiungere l’obiettivo extralinguistico proposto dal compito. Si tratta di una valutazione olistica in cui si propone un contesto globale di esperienza della lingua, una valutazione più equa e reale che permette di osservare la competenza linguistica dei discenti da diversi punti di vista in cui si favorisce la collaborazione e diminuisce la competizione nelle attività da realizzare a coppia.

 Bibliografia

Birello, M., Nanni, N., Vilagrasa, A., Zannier, I. (2014). Bravissimo. Corso d’italiano. Prove di verifica. Barcellona: Casa delle Lingue.

Chini, M. e Bosisio, C. (eds.) (2014) Fondamenti di Glottodidattica. Apprendere e insegnare le lingue oggi. Roma: Carocci editore.

Consiglio d’Europa. (2001). Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione. Firenze: La Nuova Italia

Insegnare italiano in Russia: la mia esperienza

Riflessi-a-San-Pietroburgo-a20726147«Parto per la Russia, insegnerò italiano a San Pietroburgo»: quando un anno e mezzo fa ho dato questo annuncio i miei amici si sono divisi tra gli entusiasti e gli scettici. L’idea di partire e lasciare per un po’ l’Europa sembrava un’idea di per sé intelligente, ma si trattava comunque di affrontare un nuovo paese e una nuova cultura. E spesso molte persone non capiscono esattamente cosa faccio: insegnare italiano ai russi? E perché mai? Cosa ci faranno i russi con la nostra lingua, che “non serve a niente”?
Sono partita per San Pietroburgo con le idee poco chiare. Sapevo soltanto che la città ha forti legami culturali con il nostro paese perché deve la sua bellezza a molti architetti italiani, e inoltre le mie precedenti esperienze con studenti russi erano state molto positive, quindi mi sembrava un buon momento per affacciarmi alla nazione più grande del mondo e accettare una sfida importante: tornare studentessa e, dopo tanti anni di insegnamento, ricordare cosa significhi imparare una lingua.
La mia esperienza si basa sulla realtà delle scuole private. In Russia non esistono corsi a “prezzo politico” come quelli delle scuole popolari in Germania, Austria e Scandinavia: qui vige il più assoluto libero mercato, difficilmente si può usufruire di servizi base come nelle nazioni con un forte stato sociale. Per questo motivo, quando i russi hanno iniziato a uscire fuori dalla loro autarchia linguistica è nato un fiorente mercato di scuole private.

Per quanto riguarda l’insegnamento universitario anche in Russia il reclutamento avviene per altri canali, valgono altri requisiti e l’esperienza di molti insegnanti di italiano per stranieri risulta non idonea.

Nell’affrontare il pubblico russo ciò che mi preoccupava era la differenza tra le due lingue, e invece mi sono ricreduta. Sono molte di più le affinità che le divergenze, come l’affinità Piter2fonetica; ad esempio anche il russo è ricco di affricate – suoni che di solito mettono in imbarazzo parlanti di lingue affini alla nostra. A livello morfosintattico, può essere difficile entrare nella nostra logica analitica, soprattutto perché spesso lo studente adulto non ha studiato un’altra lingua europea, al massimo ha un’infarinatura di inglese o tedesco. Io e i miei colleghi siamo abituati a non dare per scontata neanche la corretta conoscenza dell’alfabeto latino. A ben vedere, però, le classiche difficoltà dei russofoni – come l’omissione degli articoli e del verbo essere al presente – non incidono sul piano della comunicazione. Confrontandomi con i colleghi abbiamo condiviso l’impressione che i nostri studenti raggiungano ottimi risultati in tempi abbastanza brevi, e che uno studio costante porti a un livello eccellente anche in un contesto LS.
La nota dolente con cui ci si deve scontrare in Russia, però, è quella metodologica. La visione del rapporto con l’insegnante è molto tradizionale e la relazione è verticale. La formalità e la distanza sono note caratterizzanti dell’impostazione a cui i miei studenti sono abituati. In particolare, nella didattica delle lingue quasi non c’è alternativa al metodo grammaticale-traduttivo.

Probabilmente non è un malinteso che appartiene solo ai russi, ma il più grande ostacolo con cui mi scontro è la ricezione del metodo comunicativo. Con questa definizione, infatti, in Russia intendono dire che “comunicano con un madrelingua” anche se studiano solo grammatica. Qualsiasi tecnica induttiva provoca diffidenza e frustrazione. D’altra parte, la sfida è molto stimolante per noi insegnanti, e attualmente siamo molti soddisfatti delle strategie messe in atto per mettere a loro agio gli studenti. Partendo dall’alfabeto illustrato – anche per concetti astratti – e dai giochini per scoprire le frasi S.O.S (“Cosa significa?” “Come si dice?”) rendiamo da subito lo studente autonomo e in grado di comunicare nell’immediato con l’insegnante senza ricorrere alla lingua madre. L’uso dei realia, della mimica, delle illustrazioni, è la base dei primi giorni di lavoro con i principianti, che dopo due lezioni non hanno in genere problemi di decodifica dell’input.

La motivazione allo studio è indubbiamente molto alta: tutti i russi sono innamorati di Piterciò che l’Italia rappresenta. L’immagine dell’italiano – in Russia forse più che altrove – è quella di una persona solare, creativa, che mangia bene e soprattutto canta sempre: in una parola, l’italiano con “la chitarra in mano e gli spaghetti al dente” di Toto Cutugno. I vari Albano e Ricchi e Poveri sono stati autentici promotori della lingua e della cultura italiana in questo paese, grazie all’incredibile successo che riscuoteva il Festival di San Remo negli anni Settanta e Ottanta. Immaginate cosa significasse durante il periodo sovietico vedere quel palcoscenico pieno di fiori e Romina vestita di bianco che cantava Felicità. Qui la cantano ancora adesso, questa canzone che per noi è un po’ trash, che ci imbarazza, e gli studenti si stupiscono che non mi piaccia. Per loro Felicità è il simbolo di quello che volevano diventare, un paese pieno di fiori con belle donne che hanno motivo di cantare al mondo che sono felici.
Dunque, l’italiano è ancora la lingua veicolare di tutto ciò che la Russia vorrebbe essere, e adesso che mi sento – quasi – a casa posso affermare con serenità che le nostre culture, nel bene e nel male, non sono affatto lontane e che un italiano può vivere molto bene qui. A mio avviso russi e italiani condividono lo stesso attaccamento ai valori tradizionali della famiglia e sono popoli rumorosi e allegri, un po’ disorganizzati ma con una grande cultura della solidarietà, che ho sperimentato di persona.

Purtroppo la Russia in questo momento si trova a fronteggiare ancora tensioni a livello internazionale, e noi insegnanti di italiano siamo preoccupati che venga meno una motivazione importante, quella turistica, vista l’eccessiva svalutazione del rublo. O forse fare un corso di italiano, a maggior ragione, sarà l’occasione per continuare a sognare il mare, il sole, e gli italiani con la chitarra in mano.

Antonella Spadafora

Grammatica sì o no… ma soprattutto quale grammatica e come insegnarla!

Uno degli aspetti più dibattuti nell’ambito della didattica di una lingua straniera, ma anche la lingua materna, è sicuramente l’insegnamento della grammatica. Sono molti gli aspetti oggetto di discussione: Quale grammatica insegnare? Come insegnarla? Deduttivamente o induttivamente? Quanta grammatica insegnare? Perché insegnarla?

Le proposte metodologiche che si sono susseguite negli anni hanno proposto diversi modi di affrontare la grammatica in classe. All’approccio comunicativo e allapproccio orientato all’azione sono state spesso rivolte delle critiche proprio per il ruolo che assume la grammatica in queste prospettive didattiche. Vi è la convinzione piuttosto generalizzata che con gli approcci comunicativi non si tratti in classe la grammatica. Dal nostro punto di vista è solo una questione di come si pensa la lingua e la funzione che ha e, di conseguenza, la finalità dell’insegnamento della grammatica. Si tratta quasi di una questione filosofica. Il modo di concepire la lingua e quindi la grammatica metterà in risalto le differenze tra un approccio e l’altro perché le sue diverse accezioni conducono a diverse interpretazioni sia dei contenuti sia delle finalità dell’insegnamento grammaticale (Chini e Bosisio, 2014: 115).

grammaticaL’Enciclopedia Treccani definisce la “grammatica” come una  rappresentazione sistematica di una lingua e dei suoi elementi costitutivi, articolata tradizionalmente in fonologia (dottrina dei suoni di cui è costituita la parola), morfología, sintassi, lessicologia (studio scientifico del sistema lessicale di una lingua) ed etimologia.

Si tratta di un’accezione piuttosto ampia, una “descrizione di un sistema” che riesce a includere diversi livelli del sistema e in cui sarà anche facile introdurre riflessioni a livello pragmatico e sociolinguistico, aspetti fondamentali per chi impara una lingua straniera (e anche la propria L1). Tener presente però tutti questi aspetti implica una scelta metodologica che non si limita a descrivere il sistema di funzionamento di una lingua ma che richiede ai discenti un ruolo più attivo e che li porta a riflettere sulla lingua e a parlarne.

Durante molto tempo l’insegnamento della lingua straniera era pianificato a partire da un contenuto grammaticale seguendo un procedimento deduttivo di acquisizione della regola, l’approccio orientato all’azione propone invece un modo di procedere diverso. Si parte dall’analisi dei bisogni comunicativi degli studenti per l’esecuzione del compito finale ed è a partire da questi bisogni che si pianifica l’insegnamento grammaticale. È questo il criterio con cui si introducono i contenuti grammaticali che, attraverso la sequenza di attività che porteranno i discenti ad eseguire i compiti intermedi e finali, saranno analizzati e messi in pratica. Questo modo di procedere e lavorare stimola la presa di coscienza degli alunni sulla lingua e attiva i meccanismi di riflessione e le strategie comunicative (Martín Peris, 2004). Permette di creare un ponte tra il sapere cosciente e il sapere non cosciente, quel doppio meccanismo nella costruzione del sapere di una lingua a cui si riferisce Ellis (1990) quando parla dell’input centrato nel significato che porta all’uso comunicativo della lingua e che consente di introdurre le regole in maniera induttiva e dell’input incentrato sulla forma, che apporta l’insegnamento diretto ed esplicito del funzionamento grammaticale della lingua.

Bravissimo! 2

Bravissimo! 2

Questo modo di concepire l’insegnamento della lingua e della grammatica apre le porte a un modo diverso di lavorare in classe che cerca di tener conto della complessità della lingua e di presentarla seguendo il criterio della necessità. Non importa se un contenuto grammaticale è presentato solo parzialmente se per raggiungere lo scopo comunicativo che ci si è prefissi sono necessari solo certi aspetti di quel determinato contenuto e se la scelta è dettata dalla funzionalità.

Per riprendere il titolo della grammatica descrittiva dell’italiano di Michele Prandi (2006) Le regole e le scelte, l’insegnamento della lingua e della grammatica è fatto sia di regole che di scelte in quanto la grammatica di una lingua è un sistema che include regole non negoziabili, rigide (che hanno validità assolute) e opzioni alternative (che producono differenze di significato) che lasciano ampi margini di scelta al parlante. Nel discorso questi due modi di funzionare si danno il cambio, l’insegnante non può non tenere presente questa alternanza. L’insegnante può (e deve) attuare delle scelte e prendere delle decisioni al momento di pianificare la propria lezione con l’obiettivo di dare risposta ai bisogni comunicativi reali dei discenti.

BIBLIOGRAFIA

Chini, M. e Bosisio, C. (2014). Fondamenti di glottodidattica. Apprendere e insegnare le lingue oggi. Roma: Carocci Editore.

Enciclopedia Treccani, www.treccani.it

Martín Peris, E. (2004). Que significa trabajar en clase con tareas comunicativas?. In RedEle, Numero 0,

www.mecd.gob.es/dctm/redele/Material-RedEle/Revista/2004_00/2004_redELE_0_18Martin.pdf?documentId=0901e72b80e0c9e3

Prandi, M. (2006). Le regole e le scelte. Introduzione alla grammatica italiana. Torino: UTET.

Canzonette? Sì, ma molto di più…

A molti la parola “canzonette”, farà venire in mente Sono solo canzonette di Edoardo Bennato e probabilmente anche la canzone Grazie dei fiori bis che Renzo Arbore, Nino Frassica e l’allegra compagnia del programma Indietro tutta si dilettavano a cantare. Arbore e Frassica si rifacevano alla canzone Grazie dei fiori con cui Nilla Pizzi vinse il primo Festival di Sanremo nel 1951. Pensando a Bennato forse verrà in mente anche Il gatto e la volpe e quindi forse Pinocchio e Collodi… E così potremmo continuare a divertirci a collegare canzoni, letteratura e programmi televisivi.

Quando parliamo di canzone, parliamo di lingua e ovviamente di cultura. La canzone in un contesto di apprendimento di una LS/L2 è uno strumento prezioso in mano dell’insegnante perché

Le canzoni in L2 rendono più accessibile la conoscenza di nuovo lessico o l’ampliamento del bagaglio lessicale già posseduto. Rassicurano l’apprendente circa le sue potenzialità di comprensione della L2 rinsaldando la fiducia nelle proprie abilità di ricezione e decodifica. Contribuiscono alla fissazione mnemonica di strutture linguistiche sia sul piano sintattico sia sul piano lessicale e semantico consentendo all’apprendente di fare ricorso, quasi inconsciamente, a determinati segmenti della L2 nella propria performance linguistica e, dunque, in fase di produzione. (Compagno, Di Gesù, 2005:134)

note_musicali_800_800L’importanza delle canzoni in classe non si limita però al “binomio lingua/musica che favorisce l’apprendimento linguistico poiché la voce contiene ciò che l’orecchio sente e percepisce nel discernere suoni/significati precisi lungo la catena fonematica” (Compagno & Di Gesù, 2005:134), la musica è di per sé una manifestazione della cultura di un popolo e molto spesso la canzone ci mette di fronte a una “cultura” più ampia, fatta di impliciti che devono essere spiegati allo studente straniero affinché possa capire e apprezzare un testo. È anche un mezzo potentissimo per avvicinare il discente alla cultura straniera e sviluppare la sua competenza socioculturale.

La canzone ci permette di tracciare la storia di un popolo e di un paese, di fare un quadro delle vicende della canzone italiana e di descrivere l’evoluzione del costume dell’Italia moderna, con interessanti spunti per osservare i cambiamenti della lingua italiana (Birello & Fantauzzi, 2001).

Non è ovviamente possibile qui tracciare un quadro completo di come è cambiata la canzone italiana, ci limiteremo a dare solo alcuni esempi di quanto e come le canzoni siano uno strumento utile per descrivere la storia di una società e della sua musica.

Il Festival di Sanremo quando nasce nel 1951 si rivolge a un’Italia ancora prevalentemente arcaica e rurale in cui la maggior parte della popolazione parla solo il dialetto. Il tema dell’amore è incontrastato. I testi delle canzoni con cui Nilla Pizzi vince le prime due edizioni Grazie dei fiori (1951) e Vola colomba (1952) ne sono un buon esempio. Sono melodie legate alla tradizione precedente, con espressioni di ispirazione letteraria. Il primo grande cambiamento avviene nel 1958 quando Domenico Modugno vince il festival con Nel blu dipinto di blu, canzone con un testo vagamente surrealista Modugno_durante_l'esibizione_al_Festival_di_sanremo_del_1958usando parole liberatorie ed eccitanti (Borgna,1992). Modugno sul palco canta allargando le braccia, un gesto ardito per l’epoca dato che fino a quel momento i cantanti stavano fermi sul palco molto spesso con la mano sul cuore.

Da questo momento il rinnovamento è inarrestabile, gli urlatori Mina e Celentano contribuiscono enormemente al cambiamento. Mina che con la sua estensione vocale rompe tutti gli schemi e i testi delle canzoni di Celentano diventano lo specchio fedele di una società che usciva dal provincialismo e ruralismo.

Lucio Battisti è sicuramente il simbolo del rinnovamento degli anni ’70. Battisti è stato un anticipatore, con musiche d’avanguardia e testi geniali che sanciscono la fine della spensieratezza che aveva contraddistinto la canzone degli anni ’60. A Milano tra gli anni ’60 e ’70 si afferma il duo Jannacci e Gaber ( il cantore dei pover crist e il filosofo ignorante) che si fanno conoscere in giro con canzoni surrealiste e dissacratorie. Gli anni ’70 sono anche gli anni della definitiva affermazione dei cantautori, Fabrizio De Andrè in testa. Il ritmo delle sue canzoni nasce sempre con le parole che abitualmente sono di uso quotidiano. Con Vecchioni, De Gregori e Guccini, la canzone si sforza di fare i conti con la realtà, si cerca di approfondirne le problematiche. Paolo Conte si è dedicato invece a descrivere la provincia italiana. Il tono delle sue canzoni è volutamente dimesso, vicino al colloquio, usa un linguaggio scarno nonostante le frequenti citazioni letterarie.

Gli anni ’80 sono gli anni del rock italiano. Dal punto di vista linguistico è una rivoluzione. L’italiano non è una lingua che si adatta facilmente ai ritmi rock per la scarsità di parole accentate nell’ultima sillaba, dei monosillabi, delle parole che terminano in consonante. La comparsa sulla scena musicale italiana di Vasco Rossi è un vero e proprio stravolgimento sia a livello di immagine che di testi. I suoi testi provocatori e apparentemente sconclusionati, i versi colloquiali, le storpiature grammaticali e le interiezioni uniti alla filosofia di vita che descrive gli avvalgono migliaia di fan (Borgna, 1992).

pitura freska

Negli anni ’90 c’è un risorgere della canzone in dialetto: dagli Almamegretta che cantano in napoletano, ai Pitura Freska che lo fanno in veneto, ai Mau mau in piemontese. Con questa ricchezza si potrebbe aprire un capitolo interessante per parlare in classe della varietà linguistica italiana.

 

Bibliografia

Birello, M., Fantauzzi, S. (2001). Cantare in italiano. In Actes IV Jorndaes de llengües estrangeres, Tarragona, Generalitat de Catalunya, Departament d’Ensenyament, 143-148.

Borgna, G. (1992). Storia della canzone italiana. Milano: Mondadori.

Compagno, G. Di Gesì, F. (2005). Le strategie d’intercomprensione spagnolo/italiano nell’analisi contrastiva delle canzoni. In Actas XXIII AISPI, http://cvc.cervantes.es/literatura/aispi/pdf/22/ii_09.pdf

Segnali discorsivi… così difficili da insegnare e da imparare.

Qualsiasi insegnante in un determinato momento della sua carriera si è trovato a riflettere su come spiegare e far capire l’uso agli studenti di queste particelle che rivestono un ruolo così determinante nel discorso. Ardua impresa…!

La prima difficoltà risiede nell’ampia terminologia impiegata dagli studiosi per riferirsi a queste particelle e alla loro definizione. Sono state infatti chiamate in vari modi marcatori pragmatici (Stame, 1999), segnali discorsivi (Bazzanella, 1995, 1994), connettori testuali (Berretta, 1984). Bazzanella (1994) li definisce come quegli elementi che

svuotandosi in parte del loro significato originario, assumono dei valori aggiuntivi e servono a sottolineare la strutturazione del discorso, a connettere elementi frasali, interfrasali, extrafrasali ed a esplicitare la collocazione dell’enunciato in una dimensione interpersonale, sottolineando la struttura interattiva della conversazione (p. 150).

e per i quali il contesto, linguistico ed extralinguistico, ha un’enorme importanza in quanto incide sul loro uso e sulla loro interpretazione.

La seconda difficoltà risiede nel fatto che si tratta per lo più di congiunzioni, avverbi, interiezioni ed espressioni desemantizzate che rivestono varie funzioni. L’insegnante di italiano LS che intraprende l’impresa di introdurre i segnali discorsivi in classe deve quindi innanzitutto fare un’analisi del contesto e prendere delle decisioni su quali funzioni possono essere trattate in quella determinata lezione. Il che è più facile a dirsi che a farsi. Dato che però i segnali discorsivi hanno il ruolo fondamentale di rinforzare l’organizzazione argomentativa del discorso, spesso possono rappresentare un ostacolo per coloro che stanno apprendendo una LS (Birello, 2005; Sainz, 2009; Ferroni, 2013) che si vedono costretti ad ricorrere alla lingua materna o lingua comune per dare una risposta alla necessità di strutturare il discorso. Diventa necessario perciò un intervento didattico e sarebbe bene affrontare l’argomento fin dai livelli più bassi e costruire così la competenza linguistico-discorsiva dei discenti in senso più ampio.

La terza difficoltà è di tipo didattico. Come riuscire a creare delle situazioni comunicative in cui lo studente sia portato ad usare in modo naturale e logico (senza che sia una semplice ripetizione di una struttura) il segnale discorsivo adeguato?  L’approccio orientato all’azione sembra essere una risposta. Questo approccio infatti apre importanti spazi per le attività interattive e l’uso della lingua orale è presente anche nelle attività di comprensione scritta e orale e in quelle di espressione scritta. Gli studenti sono portati a negoziare e prendere decisioni e quindi a usare una lingua “genuina” che scaturisce dalla propria dinamica della lezione. Questa richiesta costante di uso della lingua orale offre all’insegnante delle opportunità uniche per presentare e far usare ai discenti i segnali discorsivi fin dai livelli iniziali. Gli studenti realizzano quindi delle attività in cui l’utilizzo del segnale discorsivo ha un senso perché risponde sia a quanto richiesto dall’attività in questione sia alle necessità reali di uso della lingua per la gestione di quell’attività.

Bibliografia

Bazzanella, C. (1995). I segnali discorsivi. In: Renzi, L.; Salvi, G.; Cardinaletti, A. Grande grammatica italiana di consultazione, vol. III. Bologna: Il Mulino, pp. 226-257.

Bazzanella, C. (1994). Le facce del parlare. Firenze: La Nuova Italia, pp. 145-174.

Berretta, M. (1984). Connettivi testuali in italiano e pianificazioni del discorso. In: Coveri, L. (a cura di.). Linguistica testuale. Roma: Bulzoni, pp. 237-254.

Birello, M. (2005). Las alternancia de lenguas en la clase de italiano lengua estranjera. Su uso en las interacciones en subgrupos de alumnos adultos en Cataluña. Tese de Doutorado em Didàctica de la Llengua i de la Literatura. Departament de Didàctica de la Llengua i la Literatura, Universitat de Barcelona, Barcelona.

Ferroni, R. (2013). As estratégias de comunicação durante a realização de tarefas feitas em colaboração por aprendizes de línguas próximas: rumo ao plurilinguismo. Tese de Doutorado em Língua, Literatura e Cultura Italianas. Departamento de Letras Modernas, Universidade de São Paulo, São Paulo.

Sainz, E. (2009). ¿Por qué resulta difícil comprender un marcador del discurso? In: Jamet, M.-C. (a cura di.). Orale e intercomprensione tra lingue romanze: ricerche e implicazioni didattiche. Venezia: Libreria Editrice Cafoscariana, pp. 125-148.

Stame, S. (1999). I marcatori della conversazione. In: Galatolo, R.; Pallotti, G. (a cura di). La conversazione: un’introduzione allo studio dell’interazione verbale. Milano: Raffaello Cortina Editore, pp. 169-186.