Segnali discorsivi… così difficili da insegnare e da imparare.

Qualsiasi insegnante in un determinato momento della sua carriera si è trovato a riflettere su come spiegare e far capire l’uso agli studenti di queste particelle che rivestono un ruolo così determinante nel discorso. Ardua impresa…!

La prima difficoltà risiede nell’ampia terminologia impiegata dagli studiosi per riferirsi a queste particelle e alla loro definizione. Sono state infatti chiamate in vari modi marcatori pragmatici (Stame, 1999), segnali discorsivi (Bazzanella, 1995, 1994), connettori testuali (Berretta, 1984). Bazzanella (1994) li definisce come quegli elementi che

svuotandosi in parte del loro significato originario, assumono dei valori aggiuntivi e servono a sottolineare la strutturazione del discorso, a connettere elementi frasali, interfrasali, extrafrasali ed a esplicitare la collocazione dell’enunciato in una dimensione interpersonale, sottolineando la struttura interattiva della conversazione (p. 150).

e per i quali il contesto, linguistico ed extralinguistico, ha un’enorme importanza in quanto incide sul loro uso e sulla loro interpretazione.

La seconda difficoltà risiede nel fatto che si tratta per lo più di congiunzioni, avverbi, interiezioni ed espressioni desemantizzate che rivestono varie funzioni. L’insegnante di italiano LS che intraprende l’impresa di introdurre i segnali discorsivi in classe deve quindi innanzitutto fare un’analisi del contesto e prendere delle decisioni su quali funzioni possono essere trattate in quella determinata lezione. Il che è più facile a dirsi che a farsi. Dato che però i segnali discorsivi hanno il ruolo fondamentale di rinforzare l’organizzazione argomentativa del discorso, spesso possono rappresentare un ostacolo per coloro che stanno apprendendo una LS (Birello, 2005; Sainz, 2009; Ferroni, 2013) che si vedono costretti ad ricorrere alla lingua materna o lingua comune per dare una risposta alla necessità di strutturare il discorso. Diventa necessario perciò un intervento didattico e sarebbe bene affrontare l’argomento fin dai livelli più bassi e costruire così la competenza linguistico-discorsiva dei discenti in senso più ampio.

La terza difficoltà è di tipo didattico. Come riuscire a creare delle situazioni comunicative in cui lo studente sia portato ad usare in modo naturale e logico (senza che sia una semplice ripetizione di una struttura) il segnale discorsivo adeguato?  L’approccio orientato all’azione sembra essere una risposta. Questo approccio infatti apre importanti spazi per le attività interattive e l’uso della lingua orale è presente anche nelle attività di comprensione scritta e orale e in quelle di espressione scritta. Gli studenti sono portati a negoziare e prendere decisioni e quindi a usare una lingua “genuina” che scaturisce dalla propria dinamica della lezione. Questa richiesta costante di uso della lingua orale offre all’insegnante delle opportunità uniche per presentare e far usare ai discenti i segnali discorsivi fin dai livelli iniziali. Gli studenti realizzano quindi delle attività in cui l’utilizzo del segnale discorsivo ha un senso perché risponde sia a quanto richiesto dall’attività in questione sia alle necessità reali di uso della lingua per la gestione di quell’attività.

Bibliografia

Bazzanella, C. (1995). I segnali discorsivi. In: Renzi, L.; Salvi, G.; Cardinaletti, A. Grande grammatica italiana di consultazione, vol. III. Bologna: Il Mulino, pp. 226-257.

Bazzanella, C. (1994). Le facce del parlare. Firenze: La Nuova Italia, pp. 145-174.

Berretta, M. (1984). Connettivi testuali in italiano e pianificazioni del discorso. In: Coveri, L. (a cura di.). Linguistica testuale. Roma: Bulzoni, pp. 237-254.

Birello, M. (2005). Las alternancia de lenguas en la clase de italiano lengua estranjera. Su uso en las interacciones en subgrupos de alumnos adultos en Cataluña. Tese de Doutorado em Didàctica de la Llengua i de la Literatura. Departament de Didàctica de la Llengua i la Literatura, Universitat de Barcelona, Barcelona.

Ferroni, R. (2013). As estratégias de comunicação durante a realização de tarefas feitas em colaboração por aprendizes de línguas próximas: rumo ao plurilinguismo. Tese de Doutorado em Língua, Literatura e Cultura Italianas. Departamento de Letras Modernas, Universidade de São Paulo, São Paulo.

Sainz, E. (2009). ¿Por qué resulta difícil comprender un marcador del discurso? In: Jamet, M.-C. (a cura di.). Orale e intercomprensione tra lingue romanze: ricerche e implicazioni didattiche. Venezia: Libreria Editrice Cafoscariana, pp. 125-148.

Stame, S. (1999). I marcatori della conversazione. In: Galatolo, R.; Pallotti, G. (a cura di). La conversazione: un’introduzione allo studio dell’interazione verbale. Milano: Raffaello Cortina Editore, pp. 169-186.

1º Incontro pratico per insegnanti di italiano LS – seconda parte

Nella seconda parte del riassunto delle giornate del 1º Incontro pratico per insegnanti di italiano LS intitolata “Italiano L2/LS e ricerca”, Ilaria Bada raccoglie i contributi della professoressa Giulia Grosso dell’Università per Stranieri di Siena e della professoressa Margarita Borreguero Zuloaga dell’Università Complutense di Madrid.

 

“Plurilinguismo e superdiversità: un’esperienza. Dall’italiano L2 per pubblici specifici a quelli generici di italiano LS”  di Giulia Grosso

In questo workshop Giulia Grosso ha usato il materiale da lei raccolto durante la sua ricerca di dottorato per illustrarci alcuni possibili usi didattici dell’analisi conversazionale.

La proposta non è casuale, dal momento che la stessa professoressa Grosso nella sua tesi dottorale si è servita proprio dell’analisi della conversazione per studiare le diverse strategie discorsive di accomodamento – e le rispettive funzioni pragmatiche – che vengono messe in atto in un ambiente caratterizzato dall’interazione linguistica fra individui di diverse nazionalità.

Nel caso specifico, la professoressa Grosso ha registrato e trascritto 40 ore di conversazione di sei italofoni e sette parlanti non nativi nel loro luogo di lavoro, un’azienda di smaltimento rifiuti del comune di Siena.

In questo spazio plurilingue e pluriculturale, che Vertovec definirebbe superdiverso, la necessità di comunicare nonostante l’assenza di una lingua comune porta generalmente alla creazione di una sorta di lingua franca idiosincratica.

L’analisi della conversazione, un approccio “che descrive il discorso orale … osservando nei dettagli come e quando la gente dice che cosa”, si rivela particolarmente utile per studiare le conversazioni spontanee che si generano in un tale contesto, perché permette di rinvenire i meccanismi con cui i parlanti creano una nuova lingua comune e, con essa, un mondo comune di riferimento.

L’esame delle conversazioni dei tredici impiegati dell’azienda senese – cui per ragioni di turni di lavoro partecipavano sempre e solo due persone, talora un italofono e un parlante non nativo, talora due parlanti non nativi – ha portato la professoressa Grosso ad identificare due fenomeni catalogabili come strategie di accomodamento:

  • la presenza massiccia dell’eteroripetizione, ovvero la ripetizione da parte dell’interlocutore di un enunciato o di una parte dell’enunciato del parlante, che ricopre un ampio spettro di funzioni pragmatiche: sollecitare chiarimenti, creare solidarietà, manifestare disaccordo, rispondere a domane o appropriarsi del turno di parola;
  • la variazione del repertorio linguistico, che consiste nell’uso contemporaneo da parte dei parlanti di diversi dialetti, lingue e registri all’interno di una medesima lingua; nel caso dei lavoratori dell’azienda senese, la variazione del repertorio linguistico si concretizza nel ricorso all’italiano di contatto, al linguaggio settoriale, alle varietà diatopiche, alla lingua dell’interlocutore, ad altre lingue, al foreigner talk, ecc.

Queste strategie di accomodamento risultano essere i pilastri conversazionali dell’edificazione di un nuovo mondo comune, uno spazio linguistico e identitario espanso che permette di inserire il microuniverso dell’azienda senese nel catalogo dei luoghi della superdiversità contemporanea.

L’analisi della conversazione, per quanto nasca come approccio sociologico, può rivelarsi utile nella didattica di una lingua innanzitutto perché il materiale raccolto è prodotto in un contesto reale e non simulato.

Le conversazioni registrate e trascritte dalla professoressa Grosso abbondavano, ad esempio, di segnali discorsivi, che normalmente sono poco presenti nei dialoghi preparati ad hoc per l’apprendimento di una lingua. Di conseguenza non sorprende che, durante il workshop, sia stato proposto che le conversazioni registrate e trascritte venissero sottoposte agli studenti per farli riflettere sui segnali discorsivi, sulla loro componente prosodica, ecc.

Poiché l’analisi della conversazione dirige la propria attenzione su certe abilità fondamentali per la capacità di conversare dell’apprendente – mantenere il discorso, coinvolgere gli interlocutori, cedere il turno, ecc. – che non sono riducibili a singoli elementi del discorso (ad esempio, i segnali discorsivi) e che raramente compaiono in misura sufficiente nei manuali di insegnamento dell’italiano L2, le sue categorie possono aiutare gli studenti a riflettere sulle diverse dinamiche e convenzioni dell’interazione conversativa.

D’altra parte è stato rilevato dai partecipanti al workshop che le trascrizioni sono fruibili a tutti i livelli di apprendimento della lingua e permettono la creazione di una vasta gamma di attività, iniziando da esercizi di comprensione per i principianti fino ad arrivare alla trascrizione dei dialoghi in italiano standard nei livelli più avanzati.

Bibliografia:

Barni, Vedovelli, L’Italia plurilingue fra contatto e superdiversità, In: M Palemo (a cura di), Percorsi e strategie di apprendimento dell’italiano lingua seconda: sondaggi sull’ADIL 2, Collana del Centro di eccellenza della ricerca  Osservatorio linguistico permanente dell’italiano diffuso fra stranieri e delle lingue immigrate in Italia, n. 5, Perugia, Guerra, 2009: 29-47.

Vertovec, Super-diversity and its implications, in Ethnic and Racial Studies, n.29(6), 2007: 1024-54

Zorzi, Contributi dell’analisi della conversazione all’insegnamento dell’italiano L2, In: Atti del III convegno ILSA, a cura di M. Maggini e M. Salvaderi, Comune di Firenze, 1996: 11-39 (http://venus.unive.it/aliasve/index.php?name=EZCMS&page_id=469)

 

“L’acquisizione dei segnali discorsivi in italiano L2” della Prof.ssa Margarita Borreguero Zuloaga

Questo intervento ha focalizzato la nostra attenzione su un elemento che solo recentemente è diventato oggetto di studio per la difficoltà che presenta nel percorso acquisizionale degli apprendenti:  i segnali discorsivi, onnipresenti nell’italiano parlato e praticamenti assenti nelle prime fasi dell’apprendimento formale dell’italiano LS.

Noi insegnanti siamo al corrente della plurifunzionalità dei segnali discorsivi: la gestione dei turni conversazionali, l’organizzazione interna del discorso, la connessione logica tra enunciati, l’intensificazione e la mitigazione dei contenuti sono solo alcuni dei compiti linguistici che vengono svolti dai segnali discorsivi.

Senza dubbio, alcuni di noi avranno provato ad introdurli nelle loro lezioni organizzandoli per funzione svolta, ma questa categorizzazione non esaurisce le qualità dei segnali discorsivi. In effetti, la difficoltà di acquisizione da parte dei nostri allievi è spesso accompagnata da una paralella difficoltà di trasmissione da parte nostra.

Come spiegare degli elementi che non appartengono ad un’unica categoria grammaticale, non hanno un chiaro valore semantico, sono polifunzionali, mobili e presentano una rilevante componente prosodica?

I manuali molto spesso ci non sono d’aiuto, perché non prestano sufficiente attenzione a questi elementi.

La ricerca condotta dalla professoressa Borreguero Zuloaga all’Università Complutense di Madrid su un gruppo di studenti di madrelingua spagnola ha dimostrato che non c’è un rapporto diretto tra l’uso dei segnali discorsivi da parte degli apprendenti e la loro competenza linguistica, mentre sembra esserci un rapporto evidente con la loro competenza comunicativa. Solo un parlante che fa un buon uso dei segnali discorsivi è, infatti, realmente capace di interagire con un interlocutore, organizzare significativamente l’informazione che vuole trasmettere e connettere logicamente i propri enunciati.

In particolare la professoressa ha notato che nel caso degli studenti madrelingua spagnoli ci sono alcuni fattori che favoriscono l’acquisizione dei segnali discorsivi.

I SD dell’italiano e dello spagnolo hanno infatti delle affinità di tipo

  • formale: sì, no, d’accordo, ok, però sono segnali discorsivi formalmente affini a quelli spagnoli;
  • funzionale: ma e pero svolgono la stessa funzione, così come allora e entonces;
  • pragmatico: nell’italiano e nello spagnolo è tipico l’uso di segnali discorsivi per mantenere il turno di parola, confermare la ricezione di un’informazione, ecc.

Lo studio della presenza dei SD nelle conversazioni degli studenti spagnoli ha mostrato che:

nei livelli iniziali i SD sono pochi, sovrasfruttati e formalmente simili a quelli della L1 o di un’altra LS già nota all’apprendente,

  • nei livelli intermedi e avanzati non sembra esserci una progressione chiara tra competenza linguistica e acquisizione dei segnali discorsivi,
  • nei livelli avanzati si nota una maggior frequenza e peso fonico dei segnali discorsivi, oltre che l’uso di una certa varietà di SD per espletare una sola funzione e contemporaneamente l’uso polifunzionale di uno stesso elemento.

Inoltre, l’analisi delle conversazioni ha mostrato che i fenomeni di transfer (come ad esempio l’uso di bueno, buono o bene) decrescono con la progressione dei livelli e si perdono nel momento in cui viene acquisito il SD corrispondente alla funzione che si voleva raggiungere. Ad esempio, l’uso di bueno, buono, bene si perde con l’acquisizione del be’, va be’ (SD che ricopre la funzione di presa del turno di parola del bueno spagnolo) e del cioè (SD che ricopre la funzione riformulatoria del bueno spagnolo).

La professoressa Borreguero Zuloaga ha, quindi, potuto concludere che per la didattica dei SD è di fondamentale importanza:

  •  essere consapevoli delle difficoltà di acquisizione;
  •  dare spazio ai segnali discorsivi nell’attività didattica, soprattutto con la scelta di un input adeguato;
  •  rendere i SD oggetto di una riflessione esplicita, metaliguistica e contrastiva.

Per ciò che concerne la scelta dell’input è raccomandabile l’uso di documenti auditivi e audiovisivi reali. La difficoltà dell’input può essere infatti bilanciata da una richiesta di informazioni più semplice, mentre la possibile marcatura diatopica non deve essere considerata un problema dal momento che è un fatto presente in qualsiasi interazione verbale reale.

La qualità dell’input è quindi uno dei dati da tenere in considerazione nel momento della scelta di un manuale, che dovrebbe anche trattare esplicitamente il fenomeno dei SD, presentarlo con frequenza e utilizzare un metalinguaggio adeguato.

Relativamente alle attività didattiche che favoriscono l’acquisizione dei SD, si può ricorrere alla semplice focalizzazione dei SD, alla ricostruzione della conversazione, all’abbinamento forma-funzione, alla parafrasi e alla spiegazione semantica e, infine, alla prosodia. Queste tipologie di attività didattiche son già presenti in molti manuali, anche se in scarsa quantità e con poca frequenza e varietà.

Bibliografia:

http://www.marcadores-discursivos.es/index.php

Pernas, Gillani, Cacchione, Costruire testi, strutturare conversazioni: la didattica dei segnali discorsivi come elementi pivot dell’interazione verbale, in Italiano LinguaDue, n. 1, 2011 (http://www.marcadores-discursivos.es/pdf/costruire_testi.pdf)